Nuova sinodalità: la democrazia entra nella Chiesa?
Se il sinodo non è più solo consultivo cambiano le carte in tavola e sorge un problema spinoso...
La nuova sinodalità chiama in causa il tema della rappresentanza democratica. Il vecchio sinodo alla Paolo VI non poneva il problema, perché aveva solo un ruolo consultivo e alla fine tutto veniva messo nelle mani del papa. Ma con la nuova sinodalità intesa come una caratteristica della intera Chiesa e avente non solo funzione consultiva ma di tracciare la via del “camminare insieme”, lo spinoso problema si pone. Alcuni interpreti dicono che, come un tempo la Chiesa aveva assunto il modello politico della monarchia, ora può prendere quello della democrazia.
Su questo tema spinoso, si possono fare almeno due osservazioni. La prima è che quando i teologi scrivono dell’argomento, assumono la democrazia rappresentativa liberale occidentale come sinonimo di democrazia, come l’unica democrazia, come la vera democrazia. Non ne fanno nessuna critica, non la problematizzano, la prendono come cosa ovvia. Se essa possa o meno andare d’accordo con la Chiesa è fatto dipendere solo dalla concezione di Chiesa e per niente da quella concezione di democrazia. Questo avviene anche quando poi la conclusione è «questa democrazia non va d’accordo con la vita della Chiesa». È il caso, per esempio, dell’articolo di Maria Aparecida Ferrari, Sinodalità e democrazia: punti di contatto e differenze, Annales Theologici, (2022) 2, pp. 475-494. Vedo in queste posizioni una certa carenza nell’applicazione della Dottrina sociale della Chiesa la quale, invece, è sempre stata molto critica rispetto alla democrazia liberale.
La seconda osservazione è che della democrazia rappresentativa liberale, che viene analizzata circa la sua compatibilità o incompatibilità con la prassi ecclesiale del consenso, vengono di fatto copiati i comportamenti deteriori e impropri. Da un lato si dice che nella sua versione corretta essa rimane incompatibile con la vita ecclesiale, dall’altro la si copia nei comportamenti scorretti e deviati. Per esempio, nominare ad incarichi di guida del processo sinodale persone che la pensino come chi li nomina per condizionare fin dall’inizio il sinodo, simula le pressioni lobbistiche e corporative tanto frequenti nella vita politica concreta della democrazia liberale rappresentativa.
Ci sono allora gli aperturisti, che vorrebbero l’utilizzo nella Chiesa della rappresentatività democratica senza limitazioni, dicendo che solo questo corrisponde al concetto nuovo di sinodalità; ci sono i conservatori, che invece sostengono inapplicabile il processo democratico liberale e quindi marcano le sue differenze con la prassi ecclesiale ma accettandolo come veramente democratico; ci sono infine quanti teoricamente negano la democrazia nella Chiesa ma concretamente la fanno entrare non nella sua forma corretta e trasparente ma in quella torbida dei gruppi di potere.
Nessuno dei tre atteggiamenti mi sembra convincente.