Nord Irlanda, Londra vota per imporre aborto e "nozze gay"
Sfruttando la crisi politica interna all’Irlanda del Nord, la Camera dei Comuni ha votato due emendamenti che avranno l’effetto di legalizzare l’aborto e i “matrimoni” omosessuali se il governo nordirlandese non si ricostituirà entro il 21 ottobre. Così Londra mina l'autonomia di Belfast, svelando il volto totalitario e la falsa libertà del politicamente corretto.
La traccia del tema potrebbe essere “Come sfruttare una crisi politica per imporre il pensiero unico”. Per lo svolgimento basta copiare dal Regno Unito. Qui, a Londra, martedì 9 luglio, la Camera dei Comuni, il ramo principale del parlamento britannico, ha approvato a larghissima maggioranza due emendamenti per legalizzare l’aborto e le “nozze gay” nell’Irlanda del Nord se il governo nordirlandese non verrà ripristinato entro il prossimo 21 ottobre. Il primo emendamento, proposto da Stella Creasy, un’abortista convinta, è passato con un voto di 332-99. Il secondo, presentato da Conor McGinn, ha ottenuto un consenso perfino maggiore, passando con 383 sì e 73 no, come riferisce la BBC. Per capire come si sia arrivati a tanto, inquadriamo prima la situazione.
L’Irlanda del Nord fa parte del Regno Unito ma ha una sua autonomia legislativa secondo il sistema della devolution. Da due anni e mezzo si trova senza un governo e un parlamento operativi, a causa di una grave spaccatura tra i due principali partiti della coalizione di maggioranza - il Partito unionista democratico (Dup) e il Sinn Féin - conseguente a uno scandalo finanziario, che aveva determinato la fine anticipata della legislatura nel gennaio 2017. Le ultime elezioni si sono svolte il 2 marzo dello stesso anno, ma senza appunto che si riuscisse a formare un nuovo esecutivo.
I due controversi emendamenti votati dalla Camera britannica sono stati inseriti all’interno di un progetto di legge che mira a far tornare in funzione il governo decentrato dell’Irlanda del Nord, e che va sotto il nome di Northern Ireland Executive Formation Bill. Il testo consente di posticipare l’indizione di nuove elezioni fino a ottobre di quest’anno o al limite, se sarà necessario per le negoziazioni tra i partiti, fino a gennaio 2020. Il fine dichiarato è di contribuire al ritorno alla normalità per la nazione nordirlandese, restaurando l’ordinaria amministrazione. Cosa c’entrano dunque due emendamenti per legalizzare l’aborto e le nozze gay in un progetto di legge così? Ovviamente nulla.
Ma i fautori del pensiero unico hanno pensato che questa fosse un’occasione imperdibile per far avanzare la loro agenda su due temi che rientrano nelle materie di competenza dell’Irlanda del Nord. Dove l’aborto è vietato nella maggior parte dei casi (tranne che in presenza di grave pericolo per la vita o la salute della madre) e le cosiddette nozze gay non sono previste, nonostante le ripetute pressioni subite negli anni dall’Irlanda del Nord. Si tratta perciò di un palese colpo di mano. Creasy, McGinn e compagni si giustificano dicendo che i due emendamenti, oltre alla clausola del 21 ottobre, prevedono che un futuro parlamento nordirlandese potrà cancellare o modificare le norme su aborto e nozze gay. Una giustificazione che è come una tautologia, essendo già prevista in materia l’autonomia decisionale dell’Irlanda del Nord, qui evidentemente calpestata.
Tra l’altro, se le due norme imposte da Londra entreranno effettivamente in vigore, il danno sarà già fatto, quantomeno per l’intervallo di tempo (breve o lungo) in cui saranno efficaci. E inoltre, nell’attuale clima politico e culturale - facile a compromessi quando si parla di morale naturale - una volta che leggi del genere sono state approvate non è per nulla semplice trovare la maggioranza parlamentare disposta a cancellarle.
C’è pure un’altra questione collegata. Di fatto questi due emendamenti rischiano di procrastinare l’instabilità politica dell’Irlanda del Nord, dal momento che le posizioni dei due principali partiti che devono trovare l’accordo divergono particolarmente sul tema delle nozze gay: il Dup è infatti contrario, mentre il Sinn Féin ha fatto in passato campagna per la loro legalizzazione. Questo fatto potrebbe condizionare la stessa volontà di giungere al necessario accordo entro la scadenza del 21 ottobre, come osserva la laicissima BBC: «Il partito [il Sinn Féin] potrebbe ora pensare che il ripristino del parlamento potrebbe eliminare la possibilità che il matrimonio tra persone dello stesso sesso diventi presto legale nell’Irlanda del Nord, il che potrebbe mettere il Sinn Féin potenzialmente in disaccordo con molti dei suoi elettori».
Parlando dell’emendamento sull’aborto, Clare McCarthy, portavoce di Right to Life UK, ha detto che esso è un «tentativo incostituzionale e irrispettoso di scavalcare la devolution nell’Irlanda del Nord e imporre l’aborto su richiesta». Se la norma entrerà in vigore, l’aborto diventerà legale - per qualsiasi ragione - fino a 24 settimane di gravidanza, allineando forzatamente l’Irlanda del Nord al resto del Regno Unito. «La legge su questo tema dovrebbe essere una decisione del popolo dell’Irlanda del Nord e dei suoi rappresentanti eletti, e non dei parlamentari di Westminster», ha aggiunto la McCarthy.
Contro l’emendamento sull’aborto si era espresso il 6 luglio l’arcivescovo di Armagh e primate d’Irlanda, Eamon Martin, dicendosi «profondamente preoccupato» dall’idea di rimuovere «l’esistente protezione legale per i bambini non ancora nati» e sottolineando: «Quanto è tragico per l’umanità che alcuni legislatori cerchino di accelerare la fine delle vite dei più indifesi della nostra società». Eamon Martin aveva poi definito «particolarmente cinico» il fatto di «approfittare dell’attuale crisi politica per rimuovere il diritto alla vita del più vulnerabile del nostro popolo, il nascituro». E aveva chiesto ai cattolici e ai pro life in generale di «contattare con urgenza i membri del Parlamento» per chiedere loro di fermarsi. Su una linea simile, sempre il 6 luglio, erano state le dichiarazioni di monsignor Noel Treanor, vescovo della diocesi nordirlandese di Down e Connor, mentre il giorno prima era intervenuto il vescovo ausiliare di Westminster, John Sherrington.
Ma i parlamentari inglesi sono andati comunque avanti per la loro strada. Che svela, ancora una volta, quanto sia falsa la “libertà” sbandierata dai paladini dell’aborto e dell’agenda gay, i quali procedono di imposizione in imposizione, svelando un volto sempre più totalitario.