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L'INTERVISTA

«Non tutto l'islam è violento. Ma ora va riformato»

La stampa americana parla ancora del tragico evento di Orlando, ma "stranamente" non parla di religione. Che lo stragista fosse islamico si legge solo negli organi più politicizzati di destra. La Nuova Bussola Quotidiana ne ha parlato con lo scrittore e giornalista turco Mustafa Akyol. Musulmano liberale, autore di Islam without Extremes, dice l'islam va riformato,  perché occorre «una reinterpretazione delle leggi islamiche». 

Esteri 17_06_2016
Mustafa Akyol

Dopo tre giorni dalla strage di Orlando, negli Usa tutte le bandiere sono ancora a mezzasta. Il Paese è in lutto. La macchina della solidarietà si è messa in moto da subito. Compagnie aeree offrono sconti per i parenti delle vittime che vogliono recarsi in Florida per un saluto postumo. Raccolte fondi e numeri verdi si sono attivati un po' ovunque per convogliare aiuti a chi ha perso figli e fratelli. 

La stampa parla quasi solo del tragico evento. Ma "stranamente" non parla di religione. Che lo stragista fosse islamico si legge solo negli organi più politicizzati di destra, quelli "biased", di parte. Per il resto, la notizia viene commentata come le molte sparatorie dei folli della Columbine o del Virginia Tech. E a quegli episodi viene ricollegato, nei pezzi storici e di approfondimento, nelle pagine interne o nei link dei quotidiani online. La Nuova Bussola Quotidiana ne ha parlato con lo scrittore e giornalista turco Mustafa Akyol. Musulmano liberale, autore di Islam without Extremes, è ospite a Grand Rapids dell'Acton Institute per l'annuale ciclo estivo di conferenze della Acton University. «Per come la vedo io, negli Usa si stanno prendendo in considerazione tutti gli aspetti della tragedia: l'omofobia, il fatto che lo stesso stragista fosse un omosessuale lui stesso, che fosse una persona violenta, il fatto che avesse pieno accesso alle armi da fuoco. E qualcuno ha fatto notare che avesse giurato fedeltà all'Isis e che abbia agito nel nome dell'islam», commenta Akyol.

Cosa pensa delle cause dell'attentato?

«Premetto che non conosco l'attentatore Omar Mateen e non posso comprendere le sue motivazioni più profonde. L'islam mainstream non considera legittima l'omosessualità, la considera sbagliata. Ma, ovviamente, considerare sbagliato qualcosa, non giustifica la scelta di uccidere. Se mangiare carne di maiale è sbagliato, non si uccide la gente che mangia carne di maiale. Una relazione omosessuale non è approvata dall'islam, ma è una questione fra l'uomo e Dio, non deve dare adito a violenze fisiche. In diversi regimi islamici, come l'Arabia Saudita e l'Iran, l'omosessualità è reato e comporta anche la pena capitale. Personalmente sono contrario a queste leggi, ma in ogni caso quelle leggi non giustificano una strage in territorio statunitense, dove non vige la legge coranica. Io credo, dunque, che il movente di questo stragista sia un mix fra la sua psicologia violenta e la lettura di alcuni argomenti della tradizione islamica sull'omosessualità. Che ha trasformato in azione violenta, contro ogni logica e contro il parere della corrente principale dell'islam».

Lei parla di corrente principale dell'islam, ma i movimenti totalitari e terroristici che uccidono nel nome dell'islam stanno diventando molto numerosi...

«Non nego che esistano movimenti totalitari e apocalittici, come l'Isis, che uccidono nel nome dell'islam, usando testi islamici a loro giustificazione. Ribadisco, comunque, che questi movimenti sono una minoranza all'interno di una popolazione di un miliardo e mezzo di musulmani. L'Isis è condannato addirittura da altri movimenti jihadisti, come Hamas. Ma questa corrente, per quanto minoritaria, esiste e dobbiamo farci i conti. La caratteristica che li accomuna tutti è la confusione fra cause di opposizione politica e lettura di testi religiosi. Tutti questi movimenti nascono da una causa politica, dalla ribellione contro un regime tirannico e corrotto. Dopodiché trovano, nelle scritture, quello che apparentemente giustifica la loro violenza. Questo è il problema: se io leggo parole pronunciate da Maometto contro tribù pagane che attaccavano i musulmani, non ne traggo l'insegnamento di attaccare, oggi, tutti i non-musulmani. Ma i gruppi jihadisti, al contrario, fanno delle scritture i loro slogan politici. Un altro problema è la sharia, la sua interpretazione più rigida che ne danno i salafiti: è una legge che include anche punizioni brutali, quali la lapidazione per l'adultera, torture, preghiere obbligatorie, obbligo per le donne di coprirsi il volto, eccetera. Ciò di cui avremmo realmente bisogno è una reinterpretazione delle leggi islamiche, per impedire massicce violazioni dei diritti umani. Non credo che queste leggi siano immutabili. Ad esempio, le punizioni corporali sono state introdotte nel VII Secolo, ma noi siamo nel XXI Secolo. Questi gruppi, invece, hanno l'idea che le leggi siano immutabili».

Lei prima ha parlato di situazione politica mediorientale, ma lo jihadismo cresce anche nelle città europee e americane. Omar Mateen era nato e cresciuto negli Usa. Come lo spiega?

«É vero, ma bisogna vedere in quale paese si identificano. Lo stragista di Orlando, chiamando il 911 (polizia, ndr) ha detto agli operatori che "l'America sta bombardando l'Afghanistan, il mio Paese". Quindi, Omar Mateen si sentiva afgano e non americano. Questa auto-identificazione con il Paese d'origine è sentita tanto quanto un senso di unità musulmana. Se gli Usa bombardano in Iraq, Pakistan o Afghanistan, i musulmani tendono a dare la colpa all'Occidente. Anche se vivono fisicamente in Occidente, non si sentono parte di questa civiltà. Resta dunque aperta la questione di come integrare gli immigrati musulmani in Occidente. Si vedono due estremi. Da una parte, ci sono coloro che pensano "lasciamoli vivere come credono, non proviamo a integrarli". Ed è un errore. All'estremo opposto, invece, ci sono i politici come Donald Trump, che pensano di poterli buttare fuori tutti. E questo programma è altrettanto sbagliato, perché, anzi, le espulsioni infiammerebbero ancor di più gli animi, aumenterebbero il numero di terroristi».

Lei ha parlato di movimenti "apocalittici". In effetti, nella propaganda dell'Isis, ma anche in quella dell'Iran, la fine dei tempi è un tema ricorrente. Come influenza la mentalità jihadista?

«I movimenti jihadisti e il regime iraniano si riferiscono a una tradizione nell'islam sulla fine dei tempi, secondo la quale ci sarà un periodo di caos, prima dell'apocalisse, decenni di eventi cosmici. In questi decenni i musulmani saranno perseguitati, il loro mondo sarà diviso e in guerra. E poi Dio manderà un salvatore, il Mahdi, che guiderà tutti i musulmani alla vittoria contro gli infedeli. Poi verrà Gesù, che tornerà sulla terra e unirà le sue forze a quelle del Mahdi. Vi sarà dunque l'unità fra cristiani e musulmani. Gesù morirà e sarà seppellito al fianco di Maometto. Il mondo andrà ancora in rovina fino al momento dell'apocalisse. Questa è, in sintesi, la scansione degli eventi prevista da una certa tradizione musulmana sulla fine dei tempi. Non è nel Corano: nel Corano vi sono solo alcuni accenni alla fine del mondo, ma senza dettagli. Questo scenario è stato descritto da tradizioni più recenti, più di due secoli dopo la morte del Profeta. Questo è il motivo per cui molti musulmani non prendono sul serio questo scenario, lo leggono solo come un mito medioevale, quando il mondo islamico era in difficoltà per la prima volta. Altri musulmani lo prendono seriamente, ma ritengono che l'apocalisse avverrà in tempi molto lontani e comunque imprevedibili. Ma c'è una minoranza che, non solo prende sul serio lo scenario apocalittico, ma è convinta che sia imminente. I torbidi di questi anni non fanno che confermare loro questa idea. Nonostante tutto, non tutti costoro reagiscono scatenando la loro violenza. In Turchia, ad esempio, c'è una minoranza che crede che il Mahdi stia per arrivare, ma non immaginano neppure una guerra: pensano piuttosto a un cambiamento politico, al massimo. Se invece si combina la convinzione che la fine dei tempi sia imminente con l'irrazionalità violenta, allora si ottiene l'Isis. E nel mondo sciita l'idea apocalittica è ancor più diffusa: anche in Iran è diffuso il senso che la fine sia vicina e tutto debba cambiare».

Quanto, questa idea apocalittica, ha influenzato lo stragista di Orlando?

«Non so se ci stesse pensando, probabilmente nella sua mente stava attaccando questa "gente di Sodoma e Gomorra", ben presenti anche nella tradizione islamica. Probabilmente stava anche "vendicando" l'intervento americano in Afghanistan. In ogni caso, io sono d'accordo con gli oltre 200 leader islamici americani che hanno sottoscritto una dichiarazione contro il crimine di Orlando».