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POLEMICA INUTILE

Nomine lottizzate, chi è senza peccato scagli la prima pietra

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L'ultima (inutile) polemica contro la Meloni riguarda le nomine ai vertici delle imprese pubbliche. La lottizzazione, in cui al partito vincitore spetta la fetta più grande, è una pratica ereditata dalla Prima Repubblica, non una novità.

Editoriali 25_09_2023
Vespa, Conte e Meloni

In Italia è ormai consolidata l’attitudine a giudicare i candidati agli incarichi pubblici più per le loro affiliazioni politiche che per le loro competenze. Succedeva già nella Prima Repubblica e la tradizione si è consolidata fino a oggi senza soluzione di continuità. Con questo andazzo che ha fatto a pezzi nel tempo ogni canone di meritocrazia ci si è ritrovati spesso con persone giuste al posto giusto ma scelte con criteri di appartenenza, ma anche, molto più spesso, con persone sbagliate al posto sbagliato scelte sempre con quei criteri, ignorando le competenze degli esclusi.

Ma questa patologia del sistema riguarda indifferentemente tutti i partiti. Fino a Tangentopoli si parlava di partitocrazia. Le inchieste di Mani Pulite hanno azzoppato i partiti, che lentamente sono diventati centri di interesse più che di rappresentanza delle idee, e dunque oggi si usa il termine più crudo di lottizzazione per indicare tutte le spartizioni di posti di potere che governo e opposizioni orchestrano alle spalle dei cittadini, spesso ignari.

Chi vince le elezioni si prende la fetta più importante della torta, ma anche chi perde ha diritto a qualcosa, il che viene spacciato come pluralismo e rispetto delle minoranze, ma senza precisare che si tratta di scelte sempre e solo verticistiche e quasi mai figlie di una valutazione sulla base dei requisiti necessari per i diversi ruoli da ricoprire.

Capita di assistere a cumuli di incarichi nelle mani di una stessa persona, mentre la storia del camaleontismo offre esempi di personaggi che prendono incarichi sia dalla destra che dalla sinistra, cambiando disinvoltamente collocazione. Da questo punto di vista l’ex tecnico, ora politico a tempo pieno Giuseppe Conte, è un campione impareggiabile: scelto per fare un governo giallo-verde, a suo agio nel difendere i decreti Salvini sull’immigrazione, contro i quali oggi lancia improperi di ogni tipo, un anno dopo accetta di guidare un governo giallo-rosso, che rinnega molti dei provvedimenti presi dall’esecutivo precedente, compresi quelli di matrice leghista.

Di fronte a questa degenerazione della morale pubblica e del costume politico, verrebbe da dire che nessuno può scagliare la prima pietra perché nessuno è senza peccato. Di sicuro non sono senza peccato coloro i quali oggi attaccano la Meloni accusandola di praticare a tappeto lo spoil system per mettere suoi uomini nei posti di potere. La polemica della settimana scorsa sul direttore del Museo Egizio di Torino, Christian Greco, al di là di come la si pensi, è servita alle sinistre per rilanciare la polemica sulla presunta voracità della destra, che si sarebbe tradotta secondo loro in un’occupazione “selvaggia” di tutti i posti di responsabilità ad ogni livello.

Se si pensa a quello che sta succedendo in Rai questa critica può avere un fondamento, perché c’è un dominio crescente della maggioranza di governo nella gestione delle reti e degli spazi informativi. Ma qualcuno ricorda un solo governo che non abbia fatto le stesse cose negli ultimi cinquant’anni? Di sicuro si tratta di un atteggiamento deprecabile a prescindere da chi lo ponga in essere, ma è da sempre accaduto così: chi vince le elezioni finisce per controllare direttamente o indirettamente la tv pubblica, salvo lasciare le briciole o poco più alle opposizioni, in nome di un finto pluralismo.

Ma se si guarda ad altre nomine occorre prendere atto che tutto questo spoil system il centrodestra non lo ha fatto o non lo ha ancora fatto. La riconferma di Claudio Descalzi, che è amministratore delegato dell’Eni da quasi 10 anni, è la riprova che neppure la Meloni ha deciso di intervenire sulla governance di un colosso importante per la politica energetica del nostro Paese. Eppure avrebbe potuto farlo.

Quello che invece è sempre successo con governi di sinistra o governi tecnici (comunque orientati a sinistra) è la sistematica occupazione di ogni spazio di controllo della cosa pubblica. Si pensi agli alti dirigenti do altre aziende di Stato e a tutte le figure burocratiche di rilievo, quasi sempre vicine a quella parte politica. Si sa che un ministro può anche essere espressione della maggioranza che vince le elezioni. Però poi se la struttura ministeriale gli rema contro sarà ben difficile che lui possa riuscire a ben figurare nel suo ruolo. La sinistra questo lo sa bene e infatti è stata sempre più capillare e militare nell’occupazione delle varie caselle della geografia del potere.

Appare dunque ipocrita definire le nomine del governo di centrodestra come nomine di impronta fascista e quelle fatte in passato dalla sinistra come applicazioni del principio pluralista e di quello meritocratico. Questo luogo comune, avallato nelle ultime settimane dalla grande stampa, è la riprova che una ipotetica egemonia culturale e politica di centrodestra non esiste affatto e potrebbe crearsi solo se l’era Meloni durasse almeno dieci anni.