«Noi farmacisti, prigionieri della cultura della morte. Senza obiezione costretti a cambiare lavoro»
C'è chi è costretto a cambiare lavoro, chi vive nel terrore di essere denunciato e chi prima di essere assolto deve subire una gogna mediatica infamante: sono i farmacisti cattolici che rivendicano il diritto all'obiezione di coscienza nella vendita dei farmaci abortivi, che poi farmaci non sono. A Modena, dove il vescovo e la Giovanni XXIII hanno chiamato a raccolta il popolo per la IV fiaccolata per la vita nascente hanno dato loro voce. E hanno scoperto che la proposta di legge in Parlamento è ancora ferma.
Sono i nuovi perseguitati. Discriminati cui nessuno verrebbe mai in mente di riconoscere il diritto all’obiezione di coscienza. Alcuni sono stati costretti a cambiare lavoro, altri a mettere nel conto il rischio di essere denunciati. Altri ancora a comparire davanti al giudice per affermare un diritto costituzionale: non si può costringere una persona a provocare il male. Sono i farmacisti cattolici che stanno combattendo per affermare il diritto all’obiezione di coscienza nella vendita di farmaci abortivi. Di loro si parla poco, ma ieri a Modena qualcuno si è ricordato che nella lunga battaglia per affermare la vita nascente, ci sono anche loro e non solo i medici. E’ accaduto nell’ambito della IV Fiaccolata per la vita nascente organizzata dall’Associazione comunità Giovanni XXIII in collaborazione con la diocesi emiliana.
Nel corso dell'ormai tradizionale appuntamento hanno preso parte numerose associazioni e rappresentanti di diverse confessioni, ma c’era, come lo scorso anno il vescovo di Modena Erio Castellucci, che ha impresso all’iniziativa i crismi dell’ufficialità. Tre storie e testimonianze hanno fatto da corollario alla serata: quelle di una donna che è stata salvata con il suo bimbo dall’aborto (è questa la principale attività sul territorio della Giovanni XXIII), quella di un operatore della comunità fondata da don Oreste Benzi. E quella di Fausto Roncaglia, parmigiano e vicepresidente dell’UCFI (Unione Cattolica Farmacisti Italiani). La sua testimonianza è stata incentrata sulla richiesta pubblica di una legge che estenda il diritto all’obiezione di coscienza anche a quei farmacisti che si rifiutano di cooperare al male vendendo i cosiddetti farmaci abortivi, che, come vedremo in seguito, farmaci non sono affatto. La Nuova BQ lo ha intervistato.
Roncaglia, da quale esigenza nascono i farmacisti cattolici?
Dalla necessità di affermare che il farmacista deve essere al servizio del malato, per la sua cura e che devono difendere la vita sempre. Invece anche in Italia alcune leggi disumane vogliono obbligarci a vendere sostanze in grado di uccidere un embrione già nei primi mesi di vita.
Di quali “farmaci” stiamo parlando e quali sono già presenti sul bancone del farmacista?
Spirali, EllaOne, Norlevo, i cosiddetti contraccettivi di emergenza. Una parola, se ci pensiamo paradossale perché vengono presi dopo il rapporto per eliminare l’eventuale concepito che si fosse già formato.
Anche la Ru 486?
Questo vale per le farmacie ospedaliere dove la Ru è somministrata.
A che punto è l’obiezione di coscienza dei farmacisiti?
Il farmacista al momento non ha la possibilità di obiezione di coscienza perché non c’è una legge specifica come per i medici, prevista dalla 194 o dalla legge sulla fecondazione artificiale.
Perché?
Perché i prodotti da farmacia non sono rientrati all’interno della legge 194. E’ una grandissima menzogna dell’Oms che per disporre a piacimento degli embrioni ha stabilito che la gravidanza non inizia con il concepimento, ma con l’annidamento dell’embrione entro gli 8-10 giorni. In pratica si riconosce che c’è un embrione, dunque un essere umano, ma non c’è gravidanza. E’ una menzogna colossale. Così hanno preso la palla al balzo e hanno fatto leggi dove in quegli 8 giorni l’embrione è considerato a disposizione di tutti. Perciò li chiamano contraccettivi, ma sono abortivi e lo sono oggettivamente. In più li chiamano farmaci, ma non curano nulla, anzi, non sono farmaci.
Quindi?
Quindi l’Oms ha pensato di cambiare la definizione di farmaco: non più un prodotto per curare, ma un prodotto che causa delle alterazioni fisiologiche.
E chi si oppone?
Finisce sotto processo come è successo alla nostra collega di Gorizia che è stata denunciata un anno e mezzo fa. Alla fine è stata assolta, ma nel frattempo ha dovuto subire la gogna mediatica.
Come è stata assolta?
E’ stato molto bravo l’avvocato Simone Pillon, tra i leader del Comitato Genitori e Figli. Ha dimostrato come l’obiezione di coscienza sia un caposaldo tanto della Costituzione quanto della Dichiarazione dei diritti dell’uomo: nessuno può essere obbligato a uccidere. In più il farmacista è tenuto al rispetto del codice deontologico della professione che all’articolo 3 dice che il farmacista è obbligato al rispetto della vita. Ma l’assoluzione non può far dimenticare i gravi problemi a cui va incontro la nostra professione.
Ad esempio?
In tanti sono stati costretti a cambiare lavoro. Conosco una collega ad esempio che oggi fa l’insegnante di sostegno. Perché il problema non è soltanto la mancanza di una legge che riconosca l’obiezione di coscienza, ma il fatto che i titolari delle farmacie spesso fanno pressioni perché opporsi alla vendita di questi preparati killer fa venire meno delle vendite.
E’ una situazione frequente?
Altroché, che si manifesta anche nel fatto che il farmacista obiettore fa fatica a trovare lavoro perché nei colloqui certe cose i titolari vogliono saperle e li rendono praticamente discriminati rispetto agli altri. Ci sono colleghi che quando vanno al colloquio di lavoro hanno il terrore di non essere assunti. E’ per questo che chiediamo una legge: perché i colleghi possano stare sereni e svolgere la loro professione in sicurezza.
C’è qualcuno in Parlamento che vi ascolta?
Ci sono diversi progetti di legge, ma sono tutti fermi. L’ultimo era quello dell’onorevole Gigli che aveva predisposto un progetto di legge. Ma è ancora lettera morta alla Camera. Nel frattempo l’obiezione è lasciata all’eroismo del singolo che fa quello che può.