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Ungheria

No alla bugia del "cambio di sesso" sui documenti

Un disegno di legge proposta dal partito di Orban così recita: «cambiare il proprio sesso biologico è impossibile, i caratteri sessuali e le caratteristiche cromosomiche sono immutabili». 

Gender Watch 07_05_2020

Il partito Fidesz del premier ungherese Victor Orban, tramite Zsolt Semjén, vice primo ministro, ha redatto un Ddl che verrà presentata al parlamento il 5 maggio. Si tratta della definizione del genere femminile o maschile come esclusivamente legata al sesso biologico. Se la norma passasse sarebbe un segnale per tutti i partiti che, pur rifiutando l’imposizione politicamente corretta, suppongono che per stare al potere sia comunque necessario assecondare in qualche modo le pretese del mondo arcobaleno. Pretese che, sotto il nome di diritti, negano la realtà dei fatti, producendo perciò discriminazione verso chi non si allinea ad essi.

Il disegno di legge, infatti, mira a mutare la parola “nem”, che significa sia “sesso” sia “genere”, con la parola “szuletesi nem”, ossia “sesso di nascita”, in modo che sui documenti compaia solo quello. Ossia la verità circa l’identità della persona che non può, secondo il partito di maggioranza, essere oscurata nemmeno se il soggetto la rifiuta. Il testo recita quindi così: «Cambiare il proprio sesso biologico è impossibile, i caratteri sessuali primari e le caratteristiche cromosomiche sono immutabili e non possono essere modificate da nessun ufficio di registro dello Stato civile».

A dire che uno Stato non può che riconoscere i diritti se non a partite dalla legge naturale. Altrimenti, si creano appunto cortocircuiti discriminatori: basti pensare alle violenze nei bagni e negli spogliatoi da quando in diversi Stati occidentali, in nome dei diritti, uomini transessuali possono accedere ai servizi femminili. Oppure si pensi a chi è stato denunciato, vedendo lesa la propria libertà di coscienza, perché in disaccordo con il mantra Lgbt (fotografi, pasticceri, fioristi, albergatori che non hanno voluto acconsentire con i loro atti alle unioni dello stesso sesso).

Perciò è quantomeno parziale la lettera che alcuni parlamentari europei hanno inviato all’Ungheria dichiarano che la norma avrebbe «incrementato la discriminazione, le molestie e la violenza, specificamente perché l’emanazione e la presentazione di documenti pubblici obbligherebbe a rivelare la vera identità» a persone che la nascondono con trucchi, abbigliamento o operazioni chirurgiche. Addirittura Human Rights Watch (HRW) ha chiesto all'Unione Europea di intervenire per bloccare l’approvazione della norma.

Fino ad ora, in Ungheria, le persone che rifiutano la propria sessualità avevano tecnicamente il diritto di cambiare il loro nome legale e il proprio sesso sui documenti - ma il processo è stato sospeso dal 2018, sebbene alcuni tribunali abbiano emanato sentenze per cui le persone trans dovrebbero poter ottenere il riconoscimento del proprio genere in modo che lo Stato non possa più sospendere il processo.

Ma il governo Orbán, per cui solo la salvezza della vera identità dell’uomo, della legge naturale e dei princìpi cristiani che la proteggono (basti pensare alla famiglia), sono il fondamento di una società prospera, sta lottando ormai da dieci anni contro la cultura relativista e individualista che invece la indebolisce. Per questo ha vietato la diffusione dell’ideologia gender nelle scuole e università mentre ha adottato una politica favorevole alla famiglia naturale: ad essa viene destinato il 5% del Pil e a chi ha almeno due figli viene concesso un rimborso del mutuo pari circa 3.100 euro. Una sovvenzione di oltre 7.800 per l’acquisto di una nuova auto è invece prevista per chi ha tre figli o più.

Inoltre, le politiche a favore della natalità, che Orban ha avviato da quando è al governo, hanno cominciato a dare frutto: nel gennaio 2020 il tasso di natalità ungherese è aumentato del 9,4% rispetto al gennaio dell’anno precedente. Un aumento che ha inciso sul tasso di fertilità totale, che nello stesso arco di tempo è aumentato da 1,4 a 1,6 figli per donna, mentre il tasso di aborti, tra il 2010 e il 2018, è diminuito di oltre un terzo. Le misure sono state anche volte ad incentivare le unioni stabili, ossia i matrimoni: ogni donna sotto i 40 anni ha diritto a un prestito di favore al momento delle nozze, il che ha portato all’aumento di matrimoni che nello stesso periodo di tempo è stato addirittura del 100%. Anche i divorzi sono calati del 22,5% tra il 2010 e il 2017. 

Ma non basta l'economia ha spiegare i dati: la difesa dell’identità nazionale e cristiana è culturalmente e legalmente prioritaria per questo Paese (la Costituizione è stata cambiata mettendovi al centro la famiglia, la religione cattolica e la sua tradizione), che ha conosciuto i danni recati da un regime comunista che l’ha insidiata per quarant'anni. È chiaro che Orban non intende lasciare che l’esperimento sia ripetuto dalla dittatura “liquida” europea. Ragion per cui l’anno scorso ha anche deciso di controllare i finanziamenti esteri dei “filantropi” come George Soros (ebreo miliardario di origini ungheresi che ha dovuto chiudere la Open Society di Budapest) che mirano a introdurre il relativismo etico nel Paese minacciandone le fondamenta.