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CONTINENTE NERO

Nigeria, elezioni nel mezzo di una guerra al terrore

Nigeria, fra un attentato e l'altro di Boko Haram, il paese torna al voto per eleggere parlamento e presidente. Le operazioni di voto risultano da subito molto difficili, per problemi tecnici molto diffusi. E Boko Haram compie le sue nuovi stragi: 64 morti in tre attentati dinamitardi e 23 decapitati.

Esteri 29_03_2015
Il voto in Nigeria

Sabato 28 marzo, con sei settimane di ritardo rispetto alla data fissata in origine, si sono aperti i seggi in Nigeria per gli oltre 68 milioni di cittadini iscritti nelle liste elettorali, chiamati a eleggere il capo dello stato e i membri del parlamento.

Ci vorranno giorni per conoscere i risultati ufficiali, ma si sa che a contendersi la carica sono due soltanto dei 14 candidati presidenziali: il capo di stato uscente, Goodluck Jonathan, cristiano, popolare soprattutto negli stati meridionali a maggioranza cristiana della federazione, e Muhammadu Buhari, musulmano, un generale in pensione, favorito negli stati islamici del nord. Due sono anche i partiti a cui andranno gran parte dei seggi parlamentari: il People’s Democratic Party, al governo dal 1999, anno che ha visto la fine di una lunghissima epoca di colpi di stato e dittature, e l’All Progressive Congress, lo schieramento che sostiene Buhari, uno dei protagonisti di quell’epoca per aver guidato un golpe militare nel 1983 e aver ricoperto poi la carica presidenziale fino al 1985, quando un altro golpe lo ha deposto. 

Le elezioni, previste il 14 febbraio, erano state rimandate per l’impossibilità di organizzare il voto e garantire la sicurezza negli stati nord orientali, minacciati costantemente dai terroristi islamici Boko Haram, e in particolare nel Califfato, il vasto territorio ormai controllato dal gruppo. La situazione da allora è in parte migliorata. Grazie all’intervento militare di alcuni stati confinanti, a sostegno dell’inefficiente esercito nigeriano incapace di fermare i jihadisti, alcune città in mano ai terroristi sono state liberate ed è stato possibile istituire i seggi quasi ovunque. Tuttavia circa dei tre milioni di nigeriani sfollati o profughi ben pochi sono in grado di tornare a casa per votare, posto che ancora una casa ce l’abbiano: Boko Haram, infatti, negli ultimi mesi ha raso al suolo decine di villaggi e cittadine, devastato e saccheggiato interi quartieri nei grandi centri urbani. 

In realtà non è nemmeno certo che i successi militari annunciati dal governo nigeriano siano tutti reali, dal momento che nelle ultime settimane i mass media sono stati tenuti lontani dal fronte ed è quindi impossibile verificare le notizie diramate dall’esercito, notizie che potrebbero appunto essere funzionali al bisogno del presidente Jonathan di ricuperare fiducia e consenso dimostrando, finalmente, che il suo governo vuole e sa combattere Boko Haram, proteggere la popolazione, riportare ordine: nella speranza di far dimenticare con alcuni buoni risultati le pessime, inammissibili performance degli anni trascorsi. Ma Boko Haram non è il solo problema che il presidente Jonathan non ha saputo affrontare. Molte speranze si erano riposte in lui quando, durante la campagna elettorale del 2011, aveva promesso di lottare contro la corruzione e di investire i proventi del petrolio, di cui il paese è il maggior produttore africano, per sviluppare infrastrutture e settori produttivi moderni. Niente di questo è stato fatto e due terzi dei nigeriani continuano a vivere sotto la soglia di povertà. Dal 2014 il crollo del prezzo del petrolio, che costituisce l’80% del Prodotto interno lordo nazionale, sta inoltre esaurendo le riserve finanziarie del paese.

Tra le poche notizie trapelate in questi giorni, vi è quella, peraltro smentita dal governo, del rapimento di circa 500 bambini che i Boko Haram avrebbero portato via quando hanno abbandonato la città di Damasak, messi in fuga dalle truppe del Ciad e del Camerun. Nè il governo ha potuto nascondere il persistere della minaccia terrorista. Quattro attentati dinamitardi l’8 e l’11 marzo a Maiduguri, capitale dello stato di Borno, hanno ucciso in tutto 64 persone e, alla vigilia del voto, a Buratai, una città a 200 chilometri da Maiduguri, sono state decapitate dai terroristi 23 persone.

Perciò un ingente dispiegamento di forze dell’ordine è stato predisposto per vigilare sulle operazioni di voto e, in particolare, per far rispettare il divieto di circolazione di tutti i veicoli a motore in vigore per l’intero periodo di apertura dei seggi. Nello stato di Gombe il divieto è stato violato sabato. Dei terroristi a bordo di otto automobili e due motociclette hanno attaccato i seggi in due villaggi distruggendo tutto il materiale di voto e uccidendo 24 persone. Nello stato di Enugu una macchina carica di esplosivo è stata individuata vicino a un seggio e fatta esplodere dagli artificieri. Un militare è stato ucciso vicino a un seggio a Port Harcourt, nel sud. Queste e altre notizie di attacchi, tra cui il rapimento di alcuni osservatori elettorali, danno ragione allo stato di tensione palpabile nel paese, isolato dal mondo da due giorni in seguito alla chiusura di tutte le frontiere disposta dal governo. 

Sabato solo il 75% dei seggi è entrato in funzione e in quelli aperti dei seri problemi tecnici hanno rallentato le operazioni o addirittura costretto a interromperle. Non tutti i 182.000 computer distribuiti nei seggi per procedere all’identificazione degli elettori tramite impronte digitali e fotografie funzionano. Persino il presidente Jonathan ha tentato per 50 minuti di registrarsi con la carta biometrica, ma è dovuto tornare una seconda volta e, non riuscendoci ancora, alla fine è stato accreditato manualmente. Già si diffondono inoltre voci di urne elettorali rubate, di ritardi deliberati nello svolgimento delle operazioni, di minorenni ammessi al voto in alcuni stati del nord. Una indagine condotta nei giorni precedenti al voto ha rivelato che soltanto il 13% dei nigeriani crede nella trasparenza delle elezioni. 

In considerazione dei numerosi problemi tecnici, è stato deciso di estendere il voto. In diversi seggi le operazioni sono ancora in corso.