Nigeria, ci vorrebbe una suor Rachele
Tutto il mondo si sta mobilitando per salvare le 200 ragazze rapite dai terroristi di Boko Haram. Ma non c'è chi è disposto a «morire per le nostre ragazze», come invece accadde nel 1996 in Uganda con suor Rachele Fassera, in una situazione analoga.
Da un anno esatto, in tre stati settentrionali della Nigeria – Adamawa, Yobe e Borno, dove il 14 aprile sono state rapite le studentesse di Chibok – è in vigore lo stato d’emergenza, deciso dal governo in seguito all’intensificarsi delle azioni terroristiche degli integralisti islamici Boko Haram. Da allora migliaia di militari e paramilitari si sono aggiunti a quelli normalmente in servizio nella regione. Non è bastato. Le truppe che presidiano scuole, edifici pubblici e villaggi fuggono all’arrivo dei terroristi, spesso superiori per numero, per potenza di fuoco e forse, più ancora, per determinazione.
È successo anche quando Boko Haram ha attaccato il collegio femminile di Chibok. I militari a guardia della struttura, in quel caso, non solo sono scappati, ma non hanno neanche avuto l’ardire di chiedere rinforzi e mettersi subito all’inseguimento del convoglio dei rapitori che, per un guasto a un automezzo, a un certo punto ha rallentato tanto da consentire ad alcune decine di studentesse di fuggire saltando giù dai pianali dei pick-up: le ragazze si sono dapprima nascoste nella boscaglia e poi hanno camminato da sole verso la salvezza, fino a Chibok.
La stessa scena si è ripetuta la sera del 5 maggio quando un commando ha assalito il villaggio di Gamborou Ngala, sempre nel Borno, al confine con il Ciad. Come al solito, i miliziani sono arrivati a bordo di pick-up, hanno messo in fuga i militari di presidio, hanno circondato il villaggio sparando e poi hanno dato fuoco alle abitazioni uccidendo 200, forse 300 persone.
Vista l’incapacità della Nigeria di far fronte all’emergenza – l’iniziativa più significativa del governo finora è stata l’annuncio il 6 maggio di una ricompensa di 215.000 euro a chi fornirà notizie utili a ritrovare le studentesse – il mondo si sta mobilitando. Gli Stati Uniti per primi hanno deciso di offrire aiuto al governo nigeriano. Una task force di specialisti si trova già nel paese, costituita da ufficiali dell’esercito, della polizia e dei servizi di sicurezza che affiancheranno i colleghi nigeriani. In queste ore la Gran Bretagna ha annunciato l’invio di forze speciali non appena il presidente nigeriano Goodluck Jonathan avrà formalizzato la richiesta di intervento. La Francia a sua volta ha messo a disposizione una squadra specializzata, la Cina si sta preparando a fare altrettanto, l’Italia promette uomini e mezzi, l’Unione Europea ne discuterà l’11 maggio.
Malala Yousafzai, la giovane pakistana nota per l’impegno in difesa dei diritti delle donne del suo paese, ha lanciato qualche giorno fa, via Twitter, la campagna internazionale Bring back our girls (Restituite le nostre ragazze) a cui tante personalità si stanno affrettando ad aderire: peraltro realizzando così proprio uno degli obiettivi di Boko Haram che è far parlare di sé tutto il mondo.
Intanto però dal rapimento è trascorso quasi un mese e altre otto ragazzine sono state sequestrate in un villaggio.
E dire che in un caso analogo e in un contesto ancora più pericoloso è bastato l’intervento di una suora armata solo di fede e carità. Torna infatti alla mente in questi giorni l’impresa compiuta nel 1996 da suor Rachele, in Uganda.
All’epoca il nord dell’Uganda viveva nel terrore a causa di uno dei movimenti armati africani più crudeli e spietati: il Lord Resistance Army, Lra. Guidati da Joseph Kony, i guerriglieri incendiavano di notte i villaggi, ne uccidevano gli abitanti, violentavano e portavano via donne e bambini, ridotti a schiavi sessuali e addestrati a combattere, torturare e uccidere. Amputare parti del corpo era la punizione che preferivano infliggere. Tagliavano orecchie e labbra a chi era sospettato di aver fatto la spia su di loro, piedi, gambe e natiche a chi andava in bicicletta contravvenendo al loro ordine di spostarsi a piedi… Gran parte della popolazione minacciata, 1,7 milioni di persone, finì per essere raccolta in più di 200 campi difesi dai militari. In 18 anni, dal 1987, l’anno di fondazione, al 2005, quando quasi tutto il movimento emigrò nella Repubblica Democratica del Congo, nella Repubblica Centrafricana e nell’attuale Sud Sudan dove è tuttora attivo, si ritiene che l’Lra abbia rapito 20-25 mila bambini ugandesi di entrambi i sessi.
Una notte del 1996 toccò a 139 studentesse della scuola femminile di Aboke, tra i 13 e i 16 anni di età. Ma, per loro fortuna, la vicedirettrice italiana dell’istituto, suor Rachele Fassera, missionaria comboniana, decise di non abbandonarle, di inseguire i rapitori. Piena di rabbia e dolore, si mise in cammino poche ore dopo con un insegnante, Jean Bosco, che accettò di accompagnarla.
«Si – le disse – andiamo a morire per le nostre ragazze».
«Alle 7 di mattina – raccontò in seguito suor Rachele – eravamo già in viaggio. Alle 10 abbiamo agganciato la retroguardia dei guerriglieri. Quando li ho visti mi si è seccata la saliva in gola. Ci scrutavano guardinghi con le dita sui grilletti delle armi spianate. Mi hanno portata da Laghira, il loro comandante». Dopo sei ore di trattative disperate, suor Rachele ottenne la liberazione di 109 studentesse, ma non riuscì a salvare le altre 30 neanche offrendosi in cambio.
Tornata ad Aboke, con un ulteriore, temerario atto di sfida all’Lra, fondò insieme alla mamma di una ragazza rapita la Concern Parents Association, un’associazione che, in difesa dei bambini ugandesi rapiti, ha coinvolto capi di stato, parlamentari europei e anche papa Giovanni Paolo II. Delle 30 bambine rimaste prigioniere, nove furono in seguito liberate. Quanto alle altre, si sa solo che cinque sono morte, tre delle quali torturate e assassinate.
Su suor Rachele, in seguito Segretaria generale delle Suore Missionarie Comboniane, sono stati scritti articoli e libri. Di lei parla tra gli altri l’inviato speciale della rivista Tempi, Rodolfo Casadei, in “Tribolati, ma non schiacciati. Storie di persecuzione e di speranza” (Lindau, 2012). Nel 2011 la fondazione statunitense The Path to Peace Foundation le ha conferito il premio Servitor Pacis. Nel 2012 la sua storia è stata raccontata nel film “Girl soldier” in cui suor Rachele è interpretata dall’attrice Uma Thurman.