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INDONESIA

Niente Santa Chiara per i cattolici di Giava

Triste giorno di Santa Chiara per i cattolici di Bekasi, Giava Occidentale, Indonesia. Una protesta di radicali islamici ha infatti costretto allo stop i lavori per la chiesa dedicata alla Santa di Assisi. Il sindaco respinge le accuse degli islamici, ma consiglia ai cristiani di ritirarsi a pregare in una proprietà dell'esercito.

Libertà religiosa 12_08_2015
La protesta islamica a Bekasi

Triste giorno di Santa Chiara per i cattolici di Bekasi, Giava Occidentale, Indonesia. Una protesta di radicali islamici ha infatti costretto allo stop i lavori di costruzione della chiesa dedicata alla Santa di Assisi che dovrebbe servire 9mila fedeli.

Secondo quanto riferisce l’agenzia Asia News, la parrocchia di Santa Chiara attendeva il permesso per la nuova chiesa da 17 anni. Dopo questo lunghissimo iter burocratico, una volta firmati tutti i documenti e ottenuto il via libera delle autorità, lo scorso 28 luglio erano iniziati i lavori. Ma da quel giorno, il sito subisce il picchetto di gruppi di musulmani che pretendono la revoca del permesso. Ali Murtado, a nome dei dimostranti, dichiara che Bekasi, vicinissima alla capitale Giacarta, è una città di soli musulmani, anzi “pii musulmani” e non ammette la costruzione di una chiesa cattolica. Secondo gli islamici, il permesso è stato ottenuto solo dietro mazzette e dunque è illegale. Emmanuel Dapa Loka, parrocchiano e scrittore, dichiara all’agenzia Asia News: “Sono stato coinvolto di persona nel processo dell’ottenimento dell’Imb (l’acronimo del permesso per costruire chiese, ndr). Il comitato per la costruzione della chiesa ha compiuto con diligenza tutte le procedure legali. Tutti i documenti, comprese le firme dei vicini, sono stati compilati con professionalità; le loro lettere di sostegno sono state stilate sotto la guida del ministero locale per gli affari religiosi e hanno ricevuto il sigillo ufficiale”. Le accuse dei musulmani sarebbero, dunque, infondate e solo un pretesto per non ammettere un luogo di culto cattolico in una “città di pii musulmani”. Rahmat Effendi, il sindaco, ha respinto al mittente le accuse di corruzione. Ma per “evitare tensioni” ha suggerito ai cattolici della sua città di interrompere i lavori, di non celebrare la messa in pubblico, bensì protetti in un edificio di proprietà dell’esercito. Anche senza vincere una causa, o senza dimostrare di aver ragione da un punto di vista legale, insomma, i radicali islamici hanno ottenuto quel che volevano.

L’Indonesia, il più popoloso paese musulmano al mondo, con 255 milioni e mezzo di abitanti, ospita anche un’importante minoranza cristiana: il 10% della popolazione, di cui il 7% protestante e il 3% cattolico. Ufficialmente vige la libertà di religione. Ma l'arcipelago del Sudest asiatico sta lentamente scivolando verso il fondamentalismo, a causa di nuove leggi sempre più intolleranti e dell’introduzione della sharia in una regione intera, l’Aceh. Non solo i matrimoni forzati con minorenni sono stati sdoganati dalla Corte Suprema, ma è sotto esame in Parlamento una norma per l’inasprimento della pena per il reato di adulterio sempre per adeguarsi ai dettami degli ulema e rincorrere i programmi degli islamici più radicali.

In questo contesto, la libertà di religione si sta estinguendo gradualmente. Già notevoli restrizioni erano state introdotte dall’ex presidente/dittatore Suharto, per evitare scontri fra marxisti e religiosi e impedire la proliferazione di sette che considerava pericolose. Dopo Suharto, soprattutto nel decennio di presidenza di Susilo Bambang Yudhoyono (2004-2014), è stata sempre più applicata la legge contro la blasfemia, che ha causato l’arresto di 106 persone. Come denuncia Amnesty International le accuse sono molto arbitrarie: “per niente di più che aver fatto un fischio durante una preghiera, aver scritto le proprie opinioni su Facebook o aver detto di aver ricevuto una ‘rivelazione da Dio’”. Ultimo caso famoso è quello di Meidyatama Suryodiningrat, caporedattore del Jakarta Post, indagato per una vignetta contro l’Isis ritenuta “offensiva nei confronti dell’islam”. Come in Pakistan, la legge sulla blasfemia è usata, localmente, da maggioranze musulmane per sbarazzarsi delle minoranze cristiane. In compenso, gli atti di violenza ai danni delle minoranze (cristiani e sciiti, soprattutto) restano impuniti nella maggior parte dei casi. Nel corso dell'ultimo anno, 30 chiese di varie denominazioni sono state costrette a chiudere o sono state attaccate.

La legge sui permessi per la costruzione di edifici religiosi, nello stesso arco di tempo, è divenuta sempre più complessa e applicata a sfavore delle minoranze. Il caso di Santa Chiara, che rischia di rimanere interrotta dopo ben 17 anni di attesa del permesso, non è un’eccezione. E’ interrotta anche la costruzione della chiesa di Santa Bernadette, a Ciledug (distretto di Tangerang), che pure aveva ottenuto il via libera dalle autorità. Anche qui, lo stop dei lavori è stato imposto da dimostranti islamici radicali. Rimandata la costruzione di un’altra chiesa di Cibubur, sempre a causa delle proteste dei musulmani. E resta aperto l’annoso caso della Yasmin Church di Bogor (sempre Giava Occidentale), dove i protestanti non hanno accesso al terreno di loro proprietà per costruirvi una chiesa.

E tutto questo avviene in un paese democratico e che è ufficialmente tollerante, che Freedom House, nella sua classifica della libertà, inserisce fra i “parzialmente liberi”. La repressione, in questo caso, non viene tanto dal governo (che si limita ad assecondare), ma dal basso, dalla società. L’inasprimento dell’intolleranza religiosa, specie da parte dei musulmani, è una tendenza mondiale e nessuna realtà è sfugge.