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STRANEUROPA

Niente croci, siamo inglesi

Alla Corte di Strasburgo il governo britannico difende la liceità di licenziamenti per aver indossato croci come segno della fede cfristiana. 

Attualità 14_03_2012
Nadia Eweida
Sul sito CNSnews.com il 12 marzo 2012 un articolo a firma di Patrick Goodenough (segnalatomi da un lettore, che ringrazio) commentava la stravagante deriva anticristiana del governo “di destra” Cameron (il quale, com’è noto, ha in programma l’introduzione del matrimonio omosessuale). Ma il Sunday Telegraph - citato da Goodenough - comunica anche quest’altra “lotta” del governo britannico risalente alle amministrazioni precedenti: la proibizione di indossare croci sul luogo di lavoro per i dipendenti pubblici inglesi.

La cosa è attualmente all’attenzione del tribunale europeo di Strasburgo, adito da un paio di cittadine britanniche. Una è Nadia Eweida, cristiana copta impiegata della British Airways nell’aeroporto di Heathrow. Nel 2006 la società le aveva chiesto di togliersi dal collo la piccola croce che portava. La donna aveva rifiutato ed era stata mandata a casa. Invano aveva fatto presente che i lavoratori islamici, sikh e buddisti portano turbanti, veli sul capo e braccialetti religiosi. In seguito la Eweida era stata riammessa al lavoro ma lei aveva chiesto gli arretrati, cioè lo stipendio per il periodo in cui era stata ingiustamente allontanata. La cosa è finita in tribunale, il quale ha investito la corte suprema britannica. Non avendo ricevuto soddisfazione, la Eweida si è rivolta alla Corte europea dei Diritti Umani.

Lo stesso ha fatto Shirley Chaplin, infermiera, il cui ospedale le ha vietato la crocetta che portava al collo, sul lavoro, da trent’anni. Il servizio sanitario nazionale britannico, suo datore di lavoro, l’ha licenziata in base all’argomento che portare croci al collo non è un requisito di fede per i cristiani, come, per esempio, lo è il turbante per un sikh. La Corte di Strasburgo deve occuparsi anche di altri due cittadini britannici che hanno perso il posto per motivi di coscienza: una funzionaria che nel 2007 si è rifiutata di registrare l’unione civile di due gay e un consultore che non ha voluto somministrare una terapia sessuale a una coppia omosex. 

In tutti questi casi, parte in causa è il governo britannico. Il quale è attualmente guidato dal conservatore Cameron, che è seriamente intenzionato, come sappiamo, a introdurre il matrimonio gay in Inghilterra e nel Galles nel 2015 dopo una consultazione popolare. Ora, l’articolo 9 della Convenzione europea sui diritti umani recita: «Ognuno ha diritto alla libertà di pensiero, coscienza e religione; questo diritto include la libertà di cambiare la propria religione o credo e la libertà, sia da soli che insieme ad altri e in pubblico o in privato, di manifestare la propria religione o credo». Ma il governo britannico ha intenzione di difendersi insistendo sul solito argomento: indossare croci sul lavoro non è un «requisito» della fede cristiana.

Intervistati, diversi esponenti dell’episcopato inglese hanno fatto osservare che è obbligatorio per il cristiano non nascondere la propria fede in pubblico. In effetti, seguendo una logica strettamente giuridica (cosa che la Corte di Strasburgo non potrà non fare), non si sa quanto intrinseco alla fede musulmana sia il velo delle donne o il braccialetto-rosario per un buddista. Ma forse la migliore argomentazione è quella esternata da John Sentamu, arcivescovo anglicano di York e seconda figura per importanza nella gerarchia dell’anglicanesimo. Alla Bbc ha dichiarato che il governo britannico «sta cominciando a immischiarsi in aree che non gli competono». In effetti, è questo il punto. E qualcuno dovrebbe approfondire l’analisi di un establishment inglese (sia di destra che di sinistra) che, nascondendosi dietro il dito della tutela delle minoranze, persegue con pervicacia degna di miglior causa la demolizione a tutti i livelli del cristianesimo e della sua civiltà. Quasi che la cristofobia sia diventato il requisito fondamentale per la cooptazione nel ceto dirigente.

Ci sarà da ridere, comunque, quando a qualche politicamente corretto verrà in mente di ricorrere a Strasburgo contro la Union Jack, la bandiera britannica. Che di croci ne ha tre.