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LA MORTE DEL RABBINO

Neusner e quel Gesù “troppo” per un ebreo

La morte del rabbino ci riporta al suo straordinario dialogo con Ratzinger. Nel punto in cui l'ebreo si ferma davanti a Gesù e il cristiano prosegue portandosi dietro quanto stava a cuore al rabbino. Centrale per entrambi il connubio di ruolo pubblico della fede e personale, il suo compito politico e spirituale. Ciò che oggi, svilendo la Dottrina sociale, si tende separare.  

Editoriali 12_10_2016
Benedetto XVI col rabbino Neusner

E’ morto il rabbino Jakob Neusner, l’autore di “Un rabbino parla con Gesù”, l’amico di Joseph Ratzinger che Benedetto XVI ha ampiamente citato nel primo volume del suo “Gesù di Nazareth” in uno dei voli del pensiero a cui ci aveva abituato. E’ ancora nella nostra memoria quel dialogo a distanza, perché riguardava il punto esatto in cui un rabbino si ferma davanti a Gesù e il punto esatto in cui un cristiano prosegue. Ma il bello è – ed è questo il grande insegnamento di Benedetto XVI – che il cristiano prosegue portandosi dietro anche quanto stava a cuore al rabbino.

Il Nuovo testamento non rinnega il Vecchio, non lo abbandona. Benedetto XVI spiegava, dialogando con Neusner, che se il Cristianesimo perde il rapporto col Vecchio testamento perde il rapporto con la legge, la nazione, la cultura e finisce per dimenticare il proprio ruolo storico e pubblico. Anche oggi si sente dire che la legge nuova avrebbe sostituito la legge antica, che la legge dell’amore e della misericordia avrebbe sostituito la legge morale naturale. Ma sono affermazioni di tipo gnostico. Marcione separava i due Testamenti, come tutti gli eretici – pensiamo a Gioacchino da Fiore – che preannunciano un cristianesimo dello spirito al posto di una religione della legge.

Benedetto XVI nel suo “Gesù di Nazaret” ci parla del suo amico rabbino di New York Jakob Neusner arrivando a trattare del quarto comandamento. Cristo costruisce una comunità nuova e così facendo fa morire l’ “Israele eterno” che si fonda sulla Torah; fa morire la famiglia e la stirpe, i legami della carne, distrugge la legge del sabato e non offre alcuna struttura sociale realizzabile concretamente, ma un “Nuovo Israele” portatore di una promessa universale. 

Neusner capisce che questa “pretesa” può derivare solo da Dio, ma non rinuncia all’Israele eterno, alla comunità fondata sul sangue e sulla legge. Benedetto XVI, invece, pensa che Gesù non superi la Torah ma la porti a compimento. 

E’ un punto fondamentale di tutto il libro, dalle ripercussioni notevoli per la Dottrina sociale della Chiesa ossia per il rapporto tra Chiesa e mondo. Fondando una comunità universale, il cristianesimo ha liberato gli ordinamenti politici e sociali concreti dalla immediata sacralità e quindi ha fondato la sana laicità, ma non ha eliminato la Torah, l’ha affidata ad una ragione ormai capace di discernere, elemento che era presente anche nella Torah stessa: «Non viene formulato un ordinamento sociale; sicuramente, però vengono premessi agli ordinamenti sociali i criteri fondamentali che, tuttavia, come tali non possono trovare realizzazione piena in nessun ordinamento sociale”. 

Nasce qui la Dottrina sociale cristiana, dice Benedetto XVI, che aggiunge: «La tentazione oggi largamente diffusa di interpretare il Nuovo Testamento in modo puramente spirituale, privandolo di ogni rilevanza sociale e politica, va in questa direzione». In quale direzione? Nella direzione di liberare il Nuovo testamento dal Vecchio, la legge nuova dalla Torah, la legge della domenica da quella del sabato. I timori di Neusner erano fondati, ma riguardavano un cristianesimo gnostico, il cristianesimo disincarnato e privato.

Neusner vuole rimanere legato alla tavola della Legge e teme che l’ampliamento universale portato da Cristo separi la nuova legge delle beatitudini dalla possibilità di dare corpo ad una nazione, di informare le leggi civili e i costumi, di costruire una compagine sociale. Egli si ferma a questo punto: vede in Gesù qualcosa di “troppo” per lui. Sa che solo un Dio potrebbe fare questo, ossia ri-creare nello spirito quanto è stato creato nella carne. Non può rinunciare ad Israele e alla legge che, ordinando con le sue prescrizioni e i suoi divieti il sabato, ordina la società intera. 

Ma Benedetto risponde che Cristo non è venuto ad abolire la legge ma a darle compimento e che, in fondo, ciò era anche presente come esigenza e tendenza di fondo in Israele, la cui vocazione universale è pienamente espressa dai Profeti, dato che Israele adora il Dio vero e unico e non quello della tribù o della stirpe.

Ogni forma di gnosticismo, anche quello protestante, separa la carne dallo spirito, il ruolo pubblico della fede da quello personale, il suo compito politico da quello spirituale. Ciò si può sintetizzare nella separazione tra Vecchio e Nuovo Testamento. Neusner si ferma al Vecchio, tanti cristiani oggi dimenticano il Vecchio disprezzando la legge antica. In questo caso la Dottrina sociale della Chiesa e il ruolo pubblico della fede cristiana sono finiti. Ma non per Benedetto XVI, che approfitta proprio del dialogo con il suo amico rabbino per onorare il suo coraggio e la sua coerenza ebraica e nello stesso tempo per garantire che la ri-creazione cristiana non abbandona nulla della creazione, come di fatto oggi fa chi abbandona i principi non negoziabili e la legge morale naturale, pensando che essa sia superata dal discorso della montagna.