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SIRIA

Nel silenzio dei media, la guerra si allarga

Dopo l'abbattimento di un aereo siriano domenica, ieri un caccia Usa ha abbattuto un drone pro-regime. Sono gli ultimi episodi di una escalation che vede schierati due fronti: gli Stati Uniti con i suoi alleati arabi da una parte, decisi a contrastare l'avanzata delle forze governative siriane sostenute dall'asse russo-iraniano-cinese dall'altra.

Esteri 21_06_2017
Siria, lancio di missili da navi Usa

Sarà anche vero, come dice il comando statunitense che «la Coalizione internazionale non vuole combattere il regime siriano, né le forze russe o quelle filo-governative a loro alleate», ma che «non esiterà a difendere le sue forze o quelle alleate da qualsiasi minaccia». Resta però il fatto che nelle ultime settimane gli interventi bellici americani contro le forze siriane e i loro alleati hanno subito un forte incremento, a partire dal raid missilistico ordinato da Donald Trump il 6 aprile scorso per punire l’uso di gas, peraltro mai dimostrato, da parte delle forze siriane a Idlib. È questo che fa dubitare circa le priorità di Washington sul fronte siriano. Forse non più la sconfitta dell’Isis, ma più probabilmente la tutela delle milizie filo-USA in Giordania e nel nord della Siria dall’avanzata travolgente delle truppe di Damasco che, con l’appoggio russo e iraniano, stanno riprendendo il controllo di ampie regioni della Siria Centro-Orientale.

Ieri un caccia F-15E dell'Usaf ha abbattuto in Siria un drone pro-regime vicino Tanf, località al confine con la Giordania e l'Iraq, dove le forze governative siriane si sono ricongiunte con le milizie scite irachene lungo il confine. Nelle scorse settimane gli aerei statunitensi della Coalizione hanno bombardato in più occasioni le colonne siriane per tenerle lontane da quel settore dove operano le milizie addestrate in Giordania dalle forze speciali anglo-americane, che combattono l’Isis ma sono ostili anche al regime di Bashar Assad.

Non è chiaro se il drone abbattuto, del tipo Shahed 129 di fabbricazione iraniana, portasse i colori dell’aeronautica siriana o di quella di Teheran che secondo gli USA minacciava di colpire con i suoi missili Sadid-1 le milizie filo-americane, ma l’episodio bellico è stato curiosamente reso noto meno di 48 ore dopo il lancio di 6 missili balistici Zulfaqir dalla provincia occidentale iraniana di Kermanshah. I missili, hanno colpito obiettivi dell’Isis a Deir ez-Zor (dove è in corso una offensiva delle truppe siriane), a 700 chilometri di distanza dopo aver sorvolato il territorio iracheno e siriano.

Il portavoce dei pasdaran ha ammesso che anche «sauditi e americani sono tra i principali destinatari di questo messaggio», poiché Teheran ha dimostrato la sua capacità di colpire con precisione obiettivi molto distanti ricorrendo a un nutrito arsenale missilistico temuto da Israele e sauditi. Non a caso il premier israeliano, Benjamin Netanyahu, ha subito ammonito l’Iran sottolineando che «le nostre forze di sicurezza monitorano costantemente le attività iraniane nella regione». Del resto le forze aeree israeliane hanno già in più occasioni colpito le postazioni siriane sul Golan e bombardato obiettivi in Siria ufficialmente per impedire che armi sofisticate venissero fornite da Teheran e Damasco alle milizie Hezbollah libanesi.

La recente escalation della guerra siriana verso un confronto diretto tra gli USA e i loro alleati arabi e l’asse sciita composta da Iran e Siria con l’appoggio russo ha preso però il via domenica con l'abbattimento da parte di un F-18E della Us Navy Usa di un bombardiere siriano Su-22 che aveva sganciato bombe intorno Tabqa, nel nord della Siria, sulle Forze Democratiche Siriane (FDS), coalizione curdo-araba appoggiata dagli Usa che sta cercando di strappare Raqqa al Califfato, ma che da giorni affronta anche le truppe di Assad che avanzano verso la capitale dell’Isis.

Damasco e la Russia hanno definito l'accaduto «un atto di aggressione» smentendo che l’aereo abbattuto attaccasse le FDS. L’episodio ha accentuato la crisi tra russi e americani e il ministero della Difesa di Mosca ha fatto sapere che «qualsiasi velivolo, inclusi gli aerei e i droni della Coalizione internazionale, individuato dalle forze russe nella zona di operazioni a ovest del fiume Eufrate sarà considerato come obiettivo delle forze di difesa a terra e aeree».

La prima conseguenza della decisione russa è stata la rinuncia dell’Australia a impiegare i suoi jet aggregati alla Coalizione nei cieli siriani, «per precauzione», ma anche altri membri della Coalizione (Italia inclusa) dovrebbero porsi qualche domanda circa il senso della permanenza in un’alleanza nata per combattere il Califfato ma che gli USA impiegano oggi per attaccare le truppe siriane e i loro alleati che combattono l’Isis e le altre forze jihadiste.

La guerra in Siria potrebbe infatti allargarsi in modo incontrollato. Nei giorni scorsi Mosca ha accusato gli USA di non cooperare nell’annientamento delle milizie qaediste dell’ex Fronte al-Nusra e ha denunciato il piano americano di lasciare una via di fuga ai miliziani dell’Isis a sud di Raqqa con la speranza che questi fuggano dalla città per andare a combattere le forze siriane su altri fronti. Ieri la Russia ha ricordato che la presenza militare statunitense in Siria «è assolutamente illegale», come ha detto Mikhail Bogdanov, vice ministro degli Esteri. «Non c'è né una risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite né una richiesta delle autorità legittime siriane a questo proposito», ha dichiarato riaprendo un dibattito giuridico poco considerato nei paesi occidentali.

Ad aggiungere ulteriori tensioni al confronto tra sciiti e sunniti, che ormai si estende dal Golfo Persico alla Siria, contribuiscono anche le esercitazioni navali compiute ieri da Cina e Iran nello Stretto di Hormuz e che hanno allertato le forze navali Usa e delle monarchie sunnite del Golfo collocando la Cina al fianco di Teheran, Damasco e Mosca.