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IL CASO MESTRE

"Negro", la parola tabù di chi vuole comandare il pensiero

Il caso del dentista vittima di un episodio di violenza "alla gogna" per aver usato la parola "negro". Chi l’ha stabilito che l’uso della parola «negro» è «dispregiativo»? Perché devono essere sempre i radical-chic a comandare sul linguaggio? Chi comanda sulle parole comanda sul pensiero e chi comanda sul pensiero comanda su tutto. Ma i cosiddetti moderati non l’hanno mai capito.

Attualità 16_07_2018

L’avesse fatto oggi, Celentano, il film Yuppi Du, non l’avrebbe passata liscia. C’è, infatti, una scena in cui lui, al bancone del bar, è affiancato da un coloured di stazza imponente. Lui ordina al cameriere un Negroni e quello un bianchetto. Risate. Ma il film è del 1975 e tanta acqua è passata sotto i ponti. L’impero sovietico non era ancora crollato e il Pci era ancora di obbedienza moscovita. Oggi si è riciclato in partito radicale di massa e riceve gli input dalla sinistra liberal americana.

Da questa ha importato tutto, perfino la ridicolaggine tutta yankee di chiamare i negri «neri». Negli Usa prima della Guerra di Secessione i negroes erano gli schiavi, e ancora ai tempi di Kennedy negli elenchi telefonici gli afroamericani avevano un asterisco accanto al nome.

Noi italiani non abbiamo mai avuto né schiavismo né razzismo, potevamo perciò permetterci canzoni popolarissime come Faccetta nera e I watussi, «gli altissimi negri» di Edoardo Vianello. Il quale ha ottant’anni e ancora la canta, facendo ballare interi villaggi turistici. Il termine «negro» è spagnolo e deriva dal latino «nigrum», che vuol dire «nero». In Italia si usa(va) la parola «negro» per indicare una persona di origini africane, anche lontane; «nero» era solo il colore.

Quando i Marcellos Ferial cantavano Sei diventata nera tutti capivano che parlavano di una donna abbronzata; avessero cantato Sei diventata negra tutti avrebbero capito ben altro. Poi, con la rivoluzione sessantottarda, che da noi assunse spiccati connotati marxisti, i «neri» divennero gli estremisti di destra, a ricordo della camicie nere d’epoca fascista. Perciò chiamare «neri» i negri genera solo confusione, quantunque politicamente corretta. Ora, è tipico del politicamente corretto pensare per astrazioni.

I politicamente corretti amano  l’Umanità ma non il vicino di casa, sono buonisti ma non buoni, sono per le frontiere aperte tranne la porta di casa propria.

Così è successo che un dentista di Mestre si è ritrovato pieno di buone intenzioni fino a quando il problema non l’ha toccato personalmente: la moglie era stata aggredita da un immigrato che di colpo è diventato «negro», e il dentista è diventato leghista. Ha appeso nel suo studio un cartello in cui si racconta ai pazienti uno dei tanti episodi di cui è costellata ormai la nostra quotidianità. Gli hanno fatto presente che il colore della pelle dell’aggressore è solo un caso, perché anche altre etnie, tra cui l’italica, delinquono. Lui ha così risposto ai critici: «Non mi do ragione di questa gioiosa sottomissione a un'immigrazione senza filtro, un'illegalità diffusa, una microcriminalità dilagante, non la accetto.

Le leggi sono permissive, la magistratura buonista, gli avvocati ci marciano. A me bastano i miei criminali, la mafia, la Mala del Brenta, dobbiamo importarne altri?». Il presidente dell’ordine dei medici ha però replicato: «Esprimo solidarietà al collega per quanto accaduto alla moglie, turbata e ferita, ma come medici per giuramento accogliamo le persone indipendentemente dal colore, dalla razza e dalla professione. L'attività delinquenziale è da condannare in senso lato, a prescindere dalla pelle. Il termine 'negro' può essere inteso come dispregiativo».

Politicamente corretto allo stato puro. Insomma, un negro ti sbatte in terra, ti ruba il telefono e la bicicletta (come è accaduto alla signora di cui sopra), ma se gli dai del «negro» passi i guai, mentre lui, dato il reato di lieve entità (v. decreto svuotacarceri) se ne va a piede libero a ri-delinquere nella strada accanto. E poi si meravigliano della valanga di voti leghisti. E poi chi l’ha stabilito che l’uso della parola «negro» è «dispregiativo»? Perché devono essere sempre i radical-chic a comandare sul linguaggio? Chi comanda sulle parole comanda sul pensiero e chi comanda sul pensiero comanda su tutto. Ma i cosiddetti moderati, ahimè, non l’hanno mai capito.