Nate per farsi esplodere. Ecco le bambine del jihad
I jihadisti hanno introdotto una modalità di combattimento nuova per l’Africa: gli attentati suicidi. I Boko Haram per realizzarli usano donne e soprattutto bambine: anche solo di dieci anni. Le fanno saltare in aria nei mercati, nelle stazioni degli autobus e in altri luoghi affollati. Nel solo mese di luglio quasi 400 morti, uccisi da una ventina di ragazzine.
Boko Haram, il gruppo islamista che lotta in Nigeria per imporre la legge coranica, ha messo a segno due nuovi attentati suicidi in poche ore, usando ancora una volta delle bambine. La sera del 25 luglio una ragazzina si è fatta esplodere in un bar di Maroua, una città del Camerun. Il locale in quel momento era molto affollato. Si contano 19 morti e 62 feriti. Il giorno dopo Boko Haram ha colpito a Damaturu, la capitale dello Yobe, uno stato della federazione nigeriana. Una bambina di circa dieci anni è saltata in aria in mezzo alla gente che aspettava di passare i controlli di sicurezza per poter entrare in un mercato. L’esplosione ha ucciso 16 persone. Entrambe le città avevano subito altri attentati pochi giorni prima: Maroua il 22 luglio, in un mercato, con un bilancio di 15 vittime uccise da due ragazzine imbottite di esplosivo; Damaturu il 17 luglio, quando altre due ragazzine, una di circa dieci anni, hanno fatto strage di fedeli islamici durante la festa di Eid, alla fine del Ramadan.
Da quando il 29 maggio il nuovo presidente della Nigeria, Mohammed Buhari, ha iniziato il proprio mandato, i Boko Haram hanno intensificato le azioni di terrorismo. Nelle ultime settimane gli assalti a villaggi, di cui sterminano gli abitanti e che poi distruggono con il fuoco, e gli attentati suicidi, nei centri urbani, si sono verificati con frequenza quasi quotidiana: per lo più in Nigeria, qualcuno anche in Camerun e in Ciad. Salvo pochi casi – qualche volta un imam o un leader politico che li contrastano – i Boko Haram si accaniscono su persone innocenti: il terrore si semina in questo modo tra la gente. Dai Lord Resistance Army in Uganda ai Seleka in Repubblica Centrafricana agli Adf-Nalu in Repubblica Democratica del Congo i miliziani uccidono civili inermi, infliggono stupri, torture, mutilazioni a persone indifese; e fanno razzia di donne e bambini da usare come scudi umani, combattenti, inservienti e oggetti sessuali.
I jihadisti hanno introdotto una modalità di combattimento nuova per l’Africa: gli attentati suicidi. I Boko Haram per realizzarli usano donne e soprattutto bambine: anche solo di dieci anni. Le fanno saltare in aria nei mercati, nelle stazioni degli autobus e in altri luoghi affollati. Le mandano a morire perché così evitano di immolarsi loro. Inoltre, impiegando delle bambine, è più semplice realizzare gli attentati perché, confuse tra la folla, destano meno attenzione, la gente è meno pronta a sospettare di loro; e poi, sotto l’informe niqab, il velo integrale delle donne musulmane, è più facile nascondere l’esplosivo. Nel solo mese di luglio il bilancio degli attentati è stato di quasi 400 morti, uccisi da una ventina di ragazzine che non sempre è corretto definire suicide, cioè volontariamente intenzionate a uccidersi: perchè almeno una parte di loro di sicuro non voleva morire.
Da tempo si sospettava che per gli attentati i Boku Haram usassero le ragazze che rapiscono: migliaia nel corso degli anni sono finite nelle loro mani. Di recente le testimonianze delle prigioniere fuggite o abbandonate dai terroristi, in ritirata dai territori conquistati nel 2014, lo hanno confermato con particolari raccapriccianti. Molte delle più grandi, costrette a forza a sposare i terroristi, plagiate dai loro carnefici, convertite alla causa jihadista, sono diventate a loro volta delle combattenti, convinte di compiere una missione divina: «le abbiamo viste con i nostri occhi», dicono le donne liberate, «torturare e uccidere». Le più piccole vengono per lo più mandate a morire inconsapevoli, fatte esplodere con dei dispositivi azionati a distanza, oppure indotte al suicidio dalla prospettiva di una morte ancora più tremenda. Una bambina di 13 anni, salvata dalle forze dell’ordine a dicembre poco prima di saltare in aria, ha raccontato che i jihadisti le avevano detto che, morendo in quel modo, sarebbe andata in paradiso. Lei però piangeva, non voleva, finché non hanno minacciato di ucciderla seppellendola viva se non avesse obbedito.
Le azioni di Boko Haram sono state definite dal presidente Buhari delle «atrocità efferate» e da Paul Biya, presidente del Camerun, degli atti «vigliacchi e odiosi». Al di là delle parole, in Nigeria è evidente l’inadeguatezza colpevole della risposta governativa al terrorismo: la corruzione regna in ogni ambito, i fondi destinati alla difesa spariscono lasciando i militari sguarniti e demotivati. Il presidente Buhari incolpa gli Stati Uniti di aver aiutato Boko Haram perché ha rifiutato di fornire armi alla Nigeria (in base alla legge che proibisce al governo Usa di vendere armi agli stati che non tutelano i diritti umani) e accusa i propri predecessori di aver svuotato le casse dello stato lasciando il governo senza fondi per armare l’esercito... dimenticando che c’è anche lui tra i “predecessori” essendo stato a capo di una dittatura militare dal 1983 al 1985.
Il presidente del Ciad, Idriss Déby, di parole ne ha usate poche e non accusa nessuno, ma è passato all’azione. Si deve soprattutto alle sue truppe, entrate in territorio nigeriano, se nei mesi scorsi Boko Haram ha perso il controllo di diverse città e di parte del territorio conquistato e proclamato Califfato nel 2014. Il Ciad, inoltre, dopo gli attentati di Boko Haram nella capitale N’djamena del 15 giugno, ha disposto il bando in tutto il Paese del niqab e di qualsiasi altro tipo di abbigliamento che lasci liberi solo gli occhi. Le forze di sicurezza hanno avuto ordine di sequestrare e bruciare tutti i veli integrali in commercio. Dal 18 giugno chi contravviene è arrestato e subito processato. Nei giorni successivi Gabon e Repubblica del Congo hanno a loro volta deciso di bandire il velo integrale. A luglio il Camerun lo ha proibito dapprima nella Provincia del Nord, più esposta agli attentati, e poi anche nella capitale Douala.