Natale, occasione di conversione a Cristo. E a nient'altro
Per quanto ridotta, non viene meno nel popolo di Dio la certezza lieta che il Natale commemora la venuta di Cristo nella nostra carne mortale. Questo è il fondamento, per questo l'unica conversione che la Chiesa non può non professare quotidianamente è a Cristo Signore della vita e della storia.
Questo Natale è vissuto da una cristianità in crisi di identità che per questo si attarda su problemi particolari, dando loro un valore obiettivamente esasperato. Per fortuna, per quanto ridotta, non viene meno nel popolo di Dio la certezza lieta che il Natale commemora la venuta di Cristo nella nostra carne mortale. Per questa venuta l’uomo acquista una dignità nuova e definitiva, quella di essere il vero interlocutore del Mistero di Dio.
Questa certezza, anche se qua e là risulta essere gravemente alterata, non abbandona il cuore della Chiesa. La Chiesa sa di essere di Cristo, sa di vivere una comunione inestricabile con Lui, sa di non avere senso o dignità fuori dal rapporto esclusivo con il Signore Gesù Cristo, Redentore dell’uomo e del mondo, centro del cosmo e della storia.
La Chiesa non può pensare e non deve pensare che i problemi personali, storici e sociali dell’umanità si distendano secondo una sequela senza ordine e senza gerarchia. Non tutti i problemi hanno lo stesso valore. Con buona pace di tutti, ed umilmente diciamo di tutti, c’è una conversione che la Chiesa non può non professare quotidianamente: la conversione a Cristo Signore della vita e della storia. Ogni altro tipo di conversione, anche se inspiegabilmente sottolineata, ha sempre dei valori molti relativi, compreso quella conversione ecologica che è così difficile vedere tematizzata adeguatamente e soprattutto proposta ragionevolmente.
Dio non ci ha mai chiesto di convertirci a un particolare della vita e della storia proposto in modo esasperato: esagerare i particolari, per quanto importanti, non ha la forma della conversione, ma purtroppo, amarissimamente, quella dell’idolatria. Mentre si diffonde in modo pervasivo e quasi indomabile una mentalità ateistica e anticattolica, fatta di idolatrie di particolari, la Chiesa è chiamata ad indicare con serena certezza lo scandirsi di valori fondamentali, quindi non negoziabili, e di valori che attendono l’attuarsi nella storia della vita sociale che nasce dalla fede.
Ogni problema ha il suo posto, quel posto in cui deve stare nella unità e nella organicità della visione del reale. Che triste destino, per una cristianità che ha dolorosamente rifiutato di adorare il potere, lo Stato, l’uomo solo al comando, sarebbe quello di finire ad adorare l’ordine del cosmo senza il primato di Dio e senza il protagonismo dell’uomo.
Sentiamo giusto rifiutare queste forme di idolatria con la certezza che l’unico valore per cui vale la pena di vivere è la presenza di Dio in Cristo e tutto il resto viene dopo. Scardinare questo ordine è una forma di ateismo pacchiana e superficiale. La Chiesa deve rimanere solidamente piantata nella fede nel Signore e nell’amore a Lui e vivere l’esistenza di ogni giorno con fede e con coraggio incrollabile, nella certezza che, se Dio è con noi, nulla sarà mai contro di noi.
* Arcivescovo Emerito di Ferrara-Comacchio