Natale ad Aleppo gioia nel quartiere cristiano
Per la prima volta in cinque anni, i cristiani del quartiere Azizeh di Aleppo possono festeggiare il Natale in pace, non più sotto i razzi dei jihadisti. "Non potevamo immaginare un regalo più bello", dice padre Ibrahim."Serve una nuova cultura per un tempo nuovo in grado di assicurare una vita comune pacifica per tutti", scrive nel suo messaggio di Natale il patriarca caldeo Luis Rafael Sako
Un albero di Natale alto tredici metri, con luci e decorazioni, nel quartiere di Azizieh. Il segno della festa proprio là dove fino a poche settimane fa cadevano i razzi sparati da Aleppo Est, la parte della città che la vulgata mediatica per settimane ci ha descritto solo come vittima dell'assedio. A portarlo ad Aleppo sono stati i volontari di S.O.S. Chrétiens d'Orient, una Ong francese che è tra le realtà più attive nella solidarietà ai cristiani vittime della guerra in Siria e in Iraq. Da anni trascorrono il Natale con loro: l'hanno fatto nei giorni più difficili e lo fanno anche oggi, toccando con mano ad Aleppo la speranza che torna ad affacciarsi nei cuori.
Dopo essere stato per tanto tempo la voce del grido di dolore della sua comunità, oggi padre Ibrahim Alsabagh - il parroco della comunità latina di Aleppo - ne racconta la gioia. Quello di oggi è un Natale ben diverso dall'anno scorso, quando sul quartiere di Azizieh persino nei giorni della festa cadde una pioggia di fuoco mandata proprio dai jihadisti che in questi giorni hanno lasciato la città con un salvacondotto per Idlib. «Tutta la gente è in festa - ha raccontato padre Ibrahim al sito terrasanta.net - Non avremmo mai potuto immaginare un regalo più bello. Solo Dio poteva realizzarlo… Abbiamo chiesto a Lui questo dono ed Egli ci ha esaudito. È un frutto della preghiera dei bambini per la pace…».
È un Natale di gioia, dunque, tra i cristiani di Aleppo. Senza dimenticare, però, le ferite che restano profonde: la città in ginocchio, i lutti vissuti, le incognite sul futuro del Paese che restano molto grandi. E allora si capisce perché nelle parole di questo Natale ritorni così spesso il verbo «ricostruire». C'è da rialzare i muri delle case ridotte in macerie, certo; ma anche da riportare la pace nei cuori. «Il Natale di quest'anno per noi e per il piccolo resto dei cristiani aleppini è nel segno della libertà - scrive in una bella lettera pubblicata dal sito Ora pro Siria suor Arcangela, delle suore dell'Ospedale Saint Louis di Aleppo - Continuate a pregare per noi, per questo popolo, perché ora un'altra dimensione della nostra presenza è necessaria: ci attende la ricostruzione dell'uomo a tutti i livelli: spirituale, umana, fisica, e ci è chiesto di essere degli strumenti di riconciliazione e di perdono».
L'augurio è che la gioia ritrovata dai cristiani di Aleppo possa essere presto seguita da quella delle altre comunità del Medio Oriente che vivranno ancora in esilio il loro Natale. Lo spiega nel suo messaggio alla sua comunità il patriarca siro-cattolico Ignace III Younan: «Vogliamo esortarvi a far rivivere la speranza in Gesù venuto al mondo ad annunciare agli esiliati la liberazione - scrive - Abbiamo piena fiducia che il giorno della vostra liberazione non tarderà a venire, soprattutto ora che abbiamo visitato la Piana di Ninive in Iraq finalmente liberata dalle bande di terroristi e che la città di Aleppo, ferita per più di quattro anni, viene liberata e riunificata. Per questo è tempo di vivere la speranza che tutti gli esiliati possano tornare nella loro terra d'origine e partecipare alla ricostruzione del loro Paese».
Ma è un ritorno che può compiersi solo accogliendo fino in fondo la novità del Natale. Quella che i profughi scappati da Mosul hanno custodito in questi anni nelle loro tende, dando a tutti una grande testimonianza di fede; ma che ora chiede di essere tradotta anche in scelte concrete dalle autorità politiche ancora profondamente divise sul dopo Isis. «Serve una nuova cultura per un tempo nuovo in grado di assicurare una vita comune pacifica per tutti – scrive nel suo messaggio di Natale il patriarca caldeo Luis Rafael Sako - Per questo le autorità irachene devono costruire istituzioni statali forte, rivedere l'attuale sistema educativo, uscire dalla mentalità tribale che porta con sé l'inclinazione alla vendetta e a comportamenti colmi di invidia; devono sostituire questi atteggiamenti con una cultura aperta che abbia come obiettivo la riabilitazione degli uomini, insegnare loro i valori umani e morali che contano, quelli sui quali ogni società sana si fonda».
Un Natale per ricostruire: da Aleppo a Erbil è questa oggi la sfida dei cristiani del Medio Oriente. Sfida quanto mai impegnativa in una regione in cui il vento del settarismo e delle vendette continua a soffiare forte. Motivo in più per non lasciarli soli nella loro testimonianza coraggiosa.