Natale ad Aleppo sotto le bombe e tra le rovine.
Con le sue 45 chiese Aleppo era il cuore del cristianesimo siriano. La metà dei cristiani se n'è andata. E quelli che restano? Ce lo raccontano due testimoni della città martire, il vescovo caldeo di Aleppo, il gesuita Antoine Audo e fratel Georges Sabre, dei Maristi, impegnati a diffondere speranza in questo Natale.
Si parla sempre di meno della guerra in Siria. La tragedia di Mosul - con le centinaia di migliaia di profughi che vivono un esilio durissimo in Kurdistan - ha portato un altro angolo del Medio Oriente in cima alle preoccupazioni dei cattolici di tutto il mondo. Ma l'effetto collaterale è che stiamo cominciando a dimenticarci che la stessa guerra continua anche là dov'è cominciata. E - dunque - che i cristiani della Siria in queste ore si preparano a vivere il loro quarto Natale consecutivo nella sofferenza.
E se c'è un angolo dove tutto questo fa ancora più male oggi è Aleppo, la seconda città della Siria, la città martire di questo conflitto. Da più di due anni - ormai - il fronte passa dentro i suoi stessi confini, con i quartieri occidentali nelle mani dei “ribelli” che oggi hanno sempre più il volto islamista di Jabat al Nusra e dello Stato islamico. Le notizie su Aleppo da settimane oscillano tra gli annunci dell'inviato dell'Onu Staffan De Mistura, che starebbe cercando di negoziare un cessate il fuoco, e quelli dell'esercito siriano, che parlano di un'imminente offensiva per riprendere il controllo sull'intera città. Ma al di là delle parole per Aleppo la realtà di questo Natale è sempre la stessa: bombardamenti di tutti contro tutti, mancanza di generi di prima necessità, assenza totale di ogni ordine e legge.
Con le sue 45 chiese Aleppo era il cuore del cristianesimo siriano, la terza città con il maggior numero di cristiani nell'intero mondo arabo (dopo il Cairo e Beirut). La metà di loro - ormai - se ne sono andati. E quelli che restano? Come vivranno loro questo Natale 2014? La risposta l'hanno offerta in queste ore due testimonianze giunte proprio da questa grande città ferita della Siria. La prima è un articolo che il vescovo caldeo di Aleppo, il gesuita Antoine Audo, ha scritto per il quotidiano inglese The Telegraph. Un racconto in cui lo stesso presule racconta di dover oggi gettare nella stufa il legno delle sedie per poter scaldarsi nel freddo dell'inverno.?«Farò del mio meglio per diffondere speranza in questo Natale», spiega mons. Audo, «ma è difficile celebrare quando la tua città è in rovina. La vigilia non celebreremo la Messa di mezzanotte, come eravamo soliti fare: è troppo pericoloso per la gente uscire nelle strade di notte. Ci ritroveremo alle cinque del pomeriggio, sufficientemente presto perché tutti possano tornare a casa in sicurezza. Il giorno di Natale prima organizzavamo una grande cena alla Cattedrale e alla sera si danzava. Adesso non possiamo farlo. Non possiamo permetterci il cibo e troveremmo difficile dare voce alla gioia quando accanto a noi c'è così tanta sofferenza».
Eppure è davvero Natale anche per i cristiani di Aleppo. «Nelle nostre chiese stiamo lavorando sodo per prepararci», continua il vescovo caldeo. «Abbiamo organizzato concerti di cori, presepi e alberi di Natale. Nonostante la paura e la violenza, crediamo che la pace sia possibile, e stiamo pregando e attendendo. Tutti siamo stanchi, ma ciascuno sta facendo ciò che può per vivere, cercando la luce che viene dal cielo e non dalla terra. Nonostante tutte le difficoltà, Aleppo è la casa dove sono nato e dove sono cresciuto. La gente a volte teme per la mia sicurezza, mi dice che non è prudente camminare per strada vestito da vescovo, ma io non ho paura».
«Che cosa mi dà speranza in questo Natale?», si domanda ancora monsignor Audo. «La compassione della gente che si prende cura l'uno dell'altro. I piccoli segni di umanità che vedo nelle persone che condividono quel poco che hanno. La solidarietà dei miei fratelli e delle mie sorelle in giro per il mondo. Più di ogni altra cosa, a darmi speranza è la mia fede. Prego al mattino e leggo la Parola di Dio: questo mi convince che possiamo ancora andare avanti».
Lo stesso intreccio di dolore e speranza alimentata dalla fede la si ritrova anche nella lettera di Natale inviata da fratel Georges Sabre, dei Maristi di Aleppo. Fratel Georges è un'altra delle tante voci che attraverso la testimonianza della vita quotidiana di una comunità cristiana aiutano a capire la portata del dramma che questa città sta vivendo. Nella sua ultima lettera, rilanciata integralmente dal sito oraprosiria.blogspot.it, racconta ad esempio la storia di Soubhi, un giovane di 28 anni, che, sfollato nella propria città dopo che il suo quartiere era stato invaso dai ribelli, si era spostato a Kfarbo, un villaggio cristiano vicino alla città di Hama. Pensava di trovare lavoro e invece ha trovato là l'appuntamento con la morte.
«Per il solo fatto di rimanere in Aleppo», scrive fratel Georges, «le persone devono pagare ulteriori tributi: un abbonamento alle reti di generatori elettrici, il gas che viene distribuito con parsimonia, benzina e combustibili per riscaldamento mancanti... Un'altra minaccia è annunciata e avrà conseguenze molto gravi sulla vita quotidiana delle persone: moltissime organizzazioni internazionali stanno riducendo drasticamente la loro assistenza alla popolazione siriana... Ma quest'aiuto è essenziale: soprattutto in termini di prodotti alimentari di base...».
Si capisce bene il perché della corsa all'emigrazione: «Riferendosi all'esodo in massa dei cristiani», continua il religioso Marista, «un vicario episcopale mi ha detto ieri: "Da due mesi trascorro il mio tempo a firmare i certificati di battesimo, in arabo, francese, inglese e altre lingue. Questo certificato verrà aggiunto ad altri documenti quando le persone si presenteranno presso gli sportelli dei consolati...”». Eppure anche dentro tutta questa sofferenza, il volto della speranza inaspettatamente riaffiora. Succede ad esempio nelle 600 famiglie assistite dai giovani volontari coordinati di Maristi (e sostenuti da tanti benefattori di tutto il mondo). Oppure nella cura di tanti feriti, o nell'educazione dei ragazzi che, anche in mezzo a questo inferno, non si ferma. È il volto di una Presenza che si fa carne anche nel cuore di questa Aleppo. «”Solo Dio è capace di tutto...”. È stato questo il commento di una signora a cui avevo appena consegnato un medicinale di importanza vitale per la sopravvivenza del figlio. Utilizzando queste stesse parole», conclude la sua lettera fratel Georges, «auguro che il Signore della pace e dell'amore ci faccia scoprire nuovi percorsi, i sentieri della speranza e del dono di sé».