Napolitano lascia e Renzi non andrà al voto anticipato
Giorgio Napolitano si dimetterà entro due mesi, mantenendo fede alle sue parole pronunciate il 20 aprile 2013, all'indomani della sua conferma (storica) alla presidenza della Repubblica. Anche l'accelerazione impressa da Renzi sulla modifica del sistema di voto sembra preludere alla fine anticipata della legislatura. Ma la mossa di "re Giorgio" complica tutto.
Si apre una fase politica "creativa" e dagli esiti incerti. Mentre in Parlamento si inizierà a parlare seriamente di Italicum e si cercherà una solida e ampia maggioranza in grado di approvare una nuova legge elettorale, i partiti inizieranno a interrogarsi sulla figura più indicata per succedere a Giorgio Napolitano.
L'inquilino del Colle, infatti, stando ad attendibili indiscrezioni apparse sui principali quotidiani nazionali, starebbe seriamente pensando di dimettersi entro due mesi, mantenendo fede alle sue parole pronunciate il 20 aprile 2013, all'indomani della sua conferma (storica) alla presidenza della Repubblica: «Resterò fino a quando le mie forze me lo consentiranno». Napolitano a giugno prossimo taglierà il traguardo delle 90 primavere, gode di buona salute, compatibilmente con l'età avanzata, ma avverte con sempre maggiore insistenza i segni della stanchezza e pare non intenda continuare e chiedere troppo al suo fisico. Ipotesi più concreta è dunque quella delle dimissioni a gennaio, magari dopo un annuncio solenne in occasione del tradizionale messaggio che il capo dello Stato rivolgerà agli italiani l'ultimo giorno dell'anno in diretta televisiva.
A dicembre si concluderà il semestre italiano di presidenza europea, vetrina importante per la credibilità del nostro Paese, ed è per questo che Napolitano con ogni probabilità attenderà quella scadenza prima di rimettere il mandato. Le reazioni delle forze politiche alle voci di una possibile uscita di scena del Presidente della Repubblica non si sono fatte attendere. Elogi e riconoscimenti bipartisan e unanimi alla figura autorevole ed equilibrata di "re Giorgio" (se si eccettuano le frasi scomposte di Grillo) hanno sapientemente occultato le manovre, già partite, per la sua successione. E il "toto-Quirinale" si intreccia con il dibattito sulla legge elettorale. L'accelerazione impressa da Renzi e dal suo governo alle trattative sulla modifica del sistema di voto per le elezioni politiche sembra preludere alla fine anticipata della legislatura. Da tempo si ritiene che il premier intenda capitalizzare il consenso di questi mesi, andando alle urne nella primavera 2015, per conseguire una netta vittoria, ridimensionando o azzerando la consistenza degli attuali alleati di governo (Ncd, Scelta civica) e le fibrillazioni della minoranza Pd. Il premio alla lista vincente anziché alla coalizione gioverebbe proprio a questo scopo, consegnando a Renzi, in caso di vittoria, le chiavi del Parlamento anche nella prossima legislatura.
Ma nella realizzazione di questo disegno renziano l'ostacolo si chiama, appunto, Giorgio Napolitano. Se quest'ultimo lascerà l'incarico a gennaio, il Presidente del Senato lo sostituirà temporaneamente, nell'attesa che il Parlamento si riunisca per eleggere un successore. Considerato lo stallo che impedì nell'aprile 2013 di eleggere una figura di garanzia gradita a tutte le forze politiche e in grado di raccogliere un'ampia maggioranza, circostanza che rese obbligata la strada della riconferma di Napolitano, c'è da scommettere che anche in questo caso le votazioni per nominare un successore non sarebbero poche e la scelta non risulterebbe semplice né rapida.
Tra i candidati, Romano Prodi rimane in pole position,nonostante le smentite del diretto interessato. l suo nome potrebbe, infatti, consentire a Renzi di attrarre definitivamente il Movimento Cinque Stelle nel perimetro delle responsabilità istituzionali e di "addolcire" quei settori del Pd ostili all'attuale premier. Inoltre, Prodi gode di indiscusso prestigio europeo e secondo alcuni rappresenterebbe un elemento di stabilità per l'Italia e per l'unità europea, essendo stato tra i "padri" dell'euro. Ma questa soluzione, a meno di novità dell'ultim'ora, acuirebbe la frattura tra Renzi e il centrodestra, visto e considerato che Prodi è stato l'unico candidato premier a sconfiggere alle urne per ben due volte Silvio Berlusconi e dunque viene da sempre percepito come un avversario troppo ingombrante per Forza Italia.
L'eventuale ascesa di Prodi al Colle rappresenterebbe il "de profundis" per il Patto del Nazareno e rischierebbe di riportare sull'Aventino le truppe berlusconiane. Ecco perché, con ogni probabilità, si potrebbe puntare su figure con un diverso profilo, che il centrodestra potrebbe più facilmente digerire. Walter Veltroni o Giuliano Amato o Anna Finocchiaro, pur militando come Prodi nelle file della sinistra, rispondono a questo identikit .In alternativa, l'ampio accordo richiesto dalla Costituzione potrebbe raggiungersi sul nome dell'attuale Presidente del Senato, Piero Grasso o su quello dell'attuale ministro della difesa, Roberta Pinotti. A meno che le discussioni sulla successione a Napolitano non dovessero impantanarsi all'infinito. A quel punto qualcuno potrebbe decidere di puntare su personalità esterne alla politica (Mario Draghi?), ma l'ipotesi, visti anche i precedenti della storia d'Italia, appare, almeno per il momento, alquanto remota.
Ma a prescindere da chi sarà il nuovo Capo dello Stato, resta da capire in quali direzioni si muoverà il processo riformatore faticosamente avviato da Renzi e dal suo governo e quale futuro possa avere la legislatura. Difficile pensare che un nuovo Presidente possa subito sciogliere le Camere, "scaricando" il Parlamento che lo nomina. Altrettanto improbabile uno scioglimento deciso da Napolitano come ultimo atto del suo secondo mandato. L'attuale inquilino del Colle ha sempre escluso quest'ipotesi e ha sempre lavorato per il consolidamento del quadro politico e per la prosecuzione della legislatura. Il "partito delle elezioni anticipate" non esce quindi rafforzato dalle voci di dimissioni anticipate di Napolitano.Improbabile, a questo punto, una fine della legislatura nel 2015, a meno che non si arrivi alla paralisi decisionale e all'impossibilità ìinestricabile di condurre in porto la riforma del Senato e le altre modifiche all'impianto istituzionale e all'assetto socio-economico annunciate con grande enfasi dal governo. Renzi dovrà probabilmente rassegnarsi a tornare alle urne non prima del 2016. Ma nelle prossime settimane il quadro potrebbe essere decisamente più nitido.