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TRAGEDIA E SOCIOLOGIA

Napoli, se tentare di rapinare un carabiniere non è reato

Segnali preoccupanti da Napoli. La brutta vicenda del minorenne ucciso da un carabiniere, durante un tentativo di rapina, sta provocando una serie di segnali da familiari, media e istituzioni che peggiorano ulteriormente il quadro. Sta passando la narrazione secondo cui l'unico colpevole è lo "sbirro".

Attualità 04_03_2020
Il pronto soccorso devastato a Napoli

Segnali preoccupanti da Napoli. La brutta vicenda del minorenne ucciso da un carabiniere, durante un tentativo di rapina, sta provocando una serie di segnali da familiari, media e istituzioni che peggiorano ulteriormente il quadro.

Questi i fatti, per quanto è dato saperne finora: un carabiniere in borghese, fuori servizio ma con la sua arma di ordinanza, era in sosta a Napoli, sul lungomare, assieme alla fidanzata. Gli si avvicinano due ragazzini in motorino, uno gli punta la pistola alla tempia, gli intima di levarsi l’orologio dal polso e di consegnarglielo. Il carabiniere si identifica, lo avverte, ma il rapinatore non desiste. La situazione degenera in fretta: tre colpi e il rapinatore è a terra. Si scopre dopo: che il rapinatore era minorenne, la sua era un’arma giocattolo e che i colpi sono stati mortali. Portato d’urgenza all’ospedale Pellegrini, spirerà poco dopo. Infuriati per la notizia della sua morte, “amici, conoscenti e parenti”, un centinaio di persone secondo alcune fonti, scatenano una rivolta e devastano il pronto soccorso, aggredendo anche medici e pazienti. Il giorno successivo la magistratura apre l’indagine sul carabiniere: per omicidio volontario. I parenti del ragazzino ucciso, soprattutto il padre, rilasciano interviste ai media nazionali difendendo il figlio a spada tratta, chiedendo giustizia, accusando il carabiniere di aver commesso un lucido assassinio.

Ci sono, come si vede, tanti messaggi sbagliati lanciati dopo la tragedia. Sbagliati sotto ogni aspetto. Prima di tutto, su cosa abbia indotto un ragazzino minorenne a tentare una rapina, a mezzanotte, non fermandosi neppure di fronte a un carabiniere che si era dichiarato tale. La famiglia del rapinatore ucciso chiede “giustizia” come se si trovasse di fronte a un omicidio e non a un atto di auto-difesa. Il tentativo di rapina? Una “ragazzata”, al massimo. Più che comprensibile il dolore, molto meno il senso di ingiustizia subita dichiarato a reti unificate. E a livello di spazi riservati alle notizie, ha avuto molta più voce la parte del rapinatore che non quella dell’aggredito che si è difeso.

Secondo: sta passando quasi in sordina la reazione di “amici, conoscenti e parenti”, come vengono collettivamente identificati nelle cronache, che hanno devastato un pronto soccorso, per di più in un periodo di emergenza sanitaria nel Paese. “Sono stati minuti di panico non solo per il personale sanitario - spiegava Francesco Emilio Borrelli, consigliere dei Verdi - ma anche per gli altri malati. Ho visto le immagini del circuito chiuso e ho potuto vedere come la furia cieca dei devastatori non si sia fermata nemmeno di fronte a un malato che giaceva su una barella e che è stato malmenato. Oggi siamo qui per dire basta ad azioni di questo genere. Sono delinquenti che hanno devastato il pronto soccorso che appartiene a tutta la città”. Si tratta di un fatto gravissimo, ma viene descritto quasi come se fosse naturale, perché “a Napoli sono fatti così”. Almeno la famiglia del ragazzo ucciso, riconoscendo il torto, ha poi deciso (per bocca dell’avvocato) di non chiedere fiori per il funerale, ma 1 euro di donazioni per l’ospedale danneggiato ad ogni amico che partecipa al lutto.

L’idea che ci si può fare da queste reazioni è purtroppo abbastanza chiara: a Napoli non governa la legge, i tutori dell’ordine sono estranei quando non nemici. Rapinare non è un atto condannato in sé, venire uccisi durante una rapina è invece vissuto come un atto di ingiustizia e se a uccidere è un membro delle forze dell’ordine è doppiamente vissuto come crimine e come sopruso da parte di uno Stato estraneo e ostile. Come nel serial Gomorra, in cui la polizia non compare mai, i poliziotti sono lontani nemici. E’ vera o non è vera questa immagine di Napoli? Non è vera, a giudicare dalla reazione sui social network della gente comune, anche napoletana, che ha immediatamente preso le difese del carabiniere. La reazione dei media e delle istituzioni, però, è di segno opposto.

La magistratura, per prima cosa, ha immediatamente aperto l’indagine sul carabiniere per omicidio volontario. Non per eccesso di legittima difesa, ma proprio: omicidio volontario. Sarà la perizia a stabilire la dinamica, in che circostanza specifica sono stati esplosi i colpi e se c’era un’alternativa all’auto-difesa letale. Ci si chiede, però, se sia mai riconosciuto il diritto alla legittima difesa che dovrebbe partire almeno dalla presunzione di innocenza dell’aggredito quando agisce all'interno della sua proprietà. La magistratura segue il suo corso, ma a dar risalto a questa indagine sono soprattutto i media. Di fatto, hanno lanciato volenti o nolenti il messaggio che qui, in questa vicenda, l’unico criminale è l’agente delle forze dell’ordine. I devastatori dell’ospedale? Non si sa neppure chi siano, né sono ancora indagati a quanto risulta dalle cronache (e se lo sono nessuno lo ha detto). Giusto per ricordarlo ancora: l’ampio spazio dato al padre del rapinatore completa questa narrazione in cui il rapinatore è la vittima e lo “sbirro” è il colpevole. Così, con lo stesso spirito con cui Rifondazione Comunista ha dedicato un’aula del Senato a Carlo Giuliani “ragazzo”.