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EDITORIALE

«'Na strunzata» ma anche tante verità

Il prefetto di Perugia rimosso all'istante per una frase infelice su mamme e figli drogati. Frase sì inaccettabile, ma quello del prefetto era un grido d'allarme contro la droga e contro chi deresponsabilizza e distrugge la famiglia. Ed è questo che il governo non vuol sentire.

Editoriali 23_06_2014
Il prefetto Reppucci

Ma quanta spocchiosa ipocrisia si cela dietro la rimozione via tweet di Renzi del prefetto di Perugia, Antonio Reppucci. D’accordo, l’ha detta grossa: una frase dal sen fuggita. Sgradevole, choc finché volete, politicamente scorretta. E macabra perché il suicidio non lo si deve augurare a nessuno. E anche inaccettabile se si considera che per chi lo ha subito, il suicidio di un parente è un abisso di rimorsi e occasioni perdute. Però è probabile che questa decisione repentina del governo di licenziare seduta stante un prefetto per una frase inopportuna nasconda ben altro.

Adesso tutti si stracciano le vesti: “Se una madre che non si accorge che suo figlio si droga è una fallita: deve solo suicidarsi”. Facile scandalizzarsi, facile anche praticare lo sport preferito del dagli all’untore. E qui l’untore è il servitore dello Stato che, per dirla con il suo dialetto partenopeo, ha detto “na grande strunzata”. Ma questo prefetto merita in realtà rispetto e attenzione, perché ciò che evidentemente neanche il premier Renzi ha voluto meditare è il suo ragionamento. Un ragionamento sulle droghe e sulla società che è un pugno nell’occhio alle politiche anche di questo governo. 

Reppucci è partito dal suo lavoro, dai verbali di polizia, dalle patenti sequestrate a bizzeffe nelle notti italiche e ha riflettuto sulla superficialità che a volte accompagna alcuni genitori quando sono chiamati in questura per ritirare i loro figli cui viene sospesa la patente per guida sotto l’effetto di alcool o droghe. Il prefetto ha parlato di genitori che minimizzano lo spinello dei figli e della decadenza della potestà genitoriale dove, sempre per dirla con l’eloquio del golfo, “facimm tutt’e quant come cazz c’pare”. 

Certo, il pugno nell’occhio è quel riferimento al suicidio, ma che un prefetto parli di deresponsabilizzazione delle famiglie è un calcio nella pancia al perbenismo imperante. Un perbenismo che si straccia le vesti per una frase infelice e tace sui suicidi e le profonde depressioni cui vanno incontro le donne che abortiscono. 

Sicuramente Reppucci l’ha detta grossa, ma il prefetto ha anche ribadito che “à droga fa male, al di là di queste ultime trovate sulle droghe leggere e pesanti perché nei giovani c’è il convincimento che la droga leggera è na strunzata“. 

Ecco spiegato perché il prefetto è stato defenestrato: ha osato contestare la revisione della legge Fini Giovanardi, che reintroduce la distinzione tra droghe leggere e droghe pesanti. Una distinzione ormai antiscientifica, visto il principio attivo mutato nei cannabinoidi, e che al vaglio con la quotidianità mostra tutti i suoi assurdi effetti.

Quel prefetto ha cercato soltanto di far capire che lo Stato non può più fare da balia ai suoi cittadini, e con esso le forze dell’ordine. È la famiglia che deve avere questo ruolo. Ma la famiglia questo ruolo spesso lo demanda allo Stato, per altro ben indirizzata proprio dallo Stato stesso che si arroga il diritto di definire il confine non solo del lecito o dell’illecito, ma anche del giusto o dello sbagliato. 

Quel grido del Prefetto era allora un pugno in faccia alle recenti politiche sulle droghe del governo, che sembrano essere dettate più dall’agenda di Woodstock, dal falso mito dello spinello libero e innocuo, piuttosto che da ciò che è bene comune. Aiutato anche dai media che solo alcuni giorni fa hanno completamente tralasciato l'appello del Papa a non legalizzare le droghe leggere.

Mentre anche il governo Renzi sta a larghe falcate distruggendo la famiglia naturale a colpi di decreti legge, c’è chi si straccia le vesti se un prefetto si permette di dire che la famiglia, nel problema droga, ha un ruolo. Nei centri di recupero per tossicodipendenti una delle prime cose che vengono dette ai genitori è quella di non farsi prendere dai sensi di colpa o dai rimorsi, però il percorso di riabilitazione del tossico passa anche attraverso un confronto serio e a volte decisivo proprio con i genitori.

Ma se ai genitori viene tolta ogni capacità di decidere che cosa è bene e che cosa è male per i loro figli, perché sopra di loro c’è sempre lo Stato, se i genitori di oggi vengono umiliati da un governo che non riconosce loro la funzione di cellula della società, se permettiamo che padre e madre si separino in appena un anno senza dare loro la possibilità di analizzare con la medicina del tempo il loro fallimento per ripartire insieme, se il matrimonio è irriso da nuove forme di unione che deresponsabilizzano la loro chiamata coniugale e genitoriale, se i genitori che si lamentano con i presidi per la quantità di fumo aspirato e venduto nei bagni delle scuole superiori o ormai anche medie, sono inascoltati, non stupiamoci poi se mamma e papà si presentano inebetiti alle 3 di notte di fronte al questurino di turno, chiedendo che male avrà mai fatto il loro figliolo nel fumare una canna. Certo non dovranno suicidarsi, ma è evidente, come dicono sotto il Vesuvio, che mamma e papà “nun tengon e ppalle". E lo Stato non si è certo impegnato per aiutarli a tenerle strette.