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ISIS

Mosul, la vita sotto la bandiera nera

Dopo un anno di occupazione, l'Isis ha completamente trasformato la vita delle persone a Mosul e nei territori iracheni che controlla. Segregazione totale delle donne, indottrinamento, espulsione dei cristiani, distruzione delle moschee non conformi alla loro visione dell'islam, sono solo gli aspetti più evidenti del nuovo regime.

Esteri 11_06_2015
Al Baghdadi

Mosul, un anno dopo la sua caduta nelle mani dell’Isis, appare come un gigantesco esperimento sociale: in quella città si sta costruendo uno Stato Islamico. Mentre la Coalizione anti-Isis sta cercando ancora una strategia e Obama annuncia che ivierà altri 450 addestratori in Iraq, il potente gruppo jihadista lavora celermente per trasformare la società che controlla. Se credevamo che i Talebani avessero creato, in Afghanistan, un totalitarismo basato sull’interpretazione più letterale possibile della legge coranica, lo Stato Islamico, a Mosul, ha raggiunto vette di “purezza” ancora più alte. Perché ha letteralmente cancellato ogni traccia di islam non conforme alla sua visione religiosa. Per non parlare delle altre religioni, che sono ormai un ricordo del passato, da quelle parti.

E’ molto rara e preziosa la documentazione di quel che sta avvenendo all’interno di quei confini blindati. Il giornalista tedesco Jurgen Todenhofer, l’inverno scorso, aveva pubblicato un primo documentario girato a Mosul. Si trattava di riprese effettuate con il consenso delle autorità jihadiste, che lo avevano addirittura invitato a documentare il loro nuovo regime. L’Isis, infatti, ha adottato la strategia della "trasparenza", non nasconde nulla, né i suoi orrori, né la vita quotidiana sotto il suo regime. Lunedì, però, è stata trasmessa dalla Bbc una serie di video girati dal giornalista Ghadi Sary con telecamera nascosta. In questi video gli abitanti di Mosul esprimono pareri anche molto critici sulla loro nuova/antica vita, soprattutto coloro che sono ormai lontani, fuggiti da casa loro, e fuori dal pericolo immediato. Nei video, i cui estratti sono visibili anche sul sito dell’emittente britannica, vengono affrontati tutti gli aspetti della vita sotto la bandiera nera, a partire dalle donne, dalle minoranze religiose, fino all’educazione, al lavoro e all’esercito.

La condizione della donna, come si può immaginare, è paragonabile a quella delle afgane sotto i talebani. Nessuna può uscire di casa se non accompagnata da un parente maschio. Nessuna può lavorare, studiare, guidare. In uno dei video, una donna viene rimproverata da un militante perché non porta i guanti: il velo deve essere integrale e coprire ogni centimetro di pelle. Una donna chiamata convenzionalmente "Hanaa" (tutti i nomi sono stati cambiati, per evitare rappresaglie sui familiari), dichiara di non essere uscita di casa per settimane, per paura dei conquistatori. Raccolto il coraggio a due mani per andare fuori casa, fino a un ristorante dove era cliente abituale assieme al marito, ha scoperto il volto per mangiare. Ma è stato il proprietario del ristorante a implorare il marito (a una donna non poteva rivolgersi direttamente) di obbligarla di rimettersi il velo. La milizia dell’Isis, infatti, effettua ispezioni a sorpresa e una donna a volto scoperto comporta frustate anche per il proprietario del locale. Sia Hanaa che un'altra donna mostrata nel video, dicono che la regola del velo integrale è rispettata a tal punto che non è più possibile riconoscere le proprie figlie, la propria moglie, specie quando si perdono fra mille fantasmi neri.

Le religioni all’infuori dell’islam, e solo l’islam approvato dall’Isis, sono state spazzate via. Tutti i cristiani sono stati scacciati, le loro case requisite. Il quartiere Arabi, a maggioranza cristiana, appare come una terra di nessuno. Le case, quasi tutte svuotate, recano ancora la lettera “N” di Nazareno, con cui gli jihadisti marchiavano le abitazioni dei cristiani. Anche prima della conquista militare da parte dell’Isis, “Ero minacciata e maltrattata da estremisti sunniti” – dice alla Bbc “Mariam”, una ginecologa cristiana rifugiata a Erbil. Era conosciuta come una “avida lettrice” e una collezionista di libri. Anche solo per questo fatto, viveva già sotto minaccia costante, da parte di chi è convinto che le donne non debbano studiare. “Ho dovuto abbandonare casa mia, quando Mosul è caduta. Sono fuggita portandomi dietro solo il mio corpo sano, ma la mia anima è rimasta là dove l’ho lasciata: a casa mia e fra i miei libri. Dopo essermi trasferita a Erbil, ho ricevuto pessime notizie: lo Stato Islamico aveva confiscato la mia casa e l’aveva segnata con la lettera N. Ho telefonato immediatamente ai miei amici rimasti a Mosul e li ho pregati di salvare almeno i miei libri. Troppo tardi: mi hanno richiamato dicendomi che la mia biblioteca era stata svuotata e sparsa per strada”. Non solo i cristiani stanno subendo la cancellazione della loro identità. I musulmani sciiti hanno perso tutti i loro luoghi di culto: moschee e santuari della loro tradizione sono stati fatti saltare in aria sistematicamente. E anche le moschee sunnite non conformi, per esempio quelle che contengono tombe, memoriali e santuari, vengono rase al suolo, perché ritenute “luoghi di idolatria”.

La scuola, riservata ai soli maschi, è diventata il principale veicolo di indottrinamento, fin dalla prima infanzia. Ci sono divieti che ci appaiono assurdi, come quello sulle matite colorate e l’insegnamento è stato completamente cambiato. “Mahmoud” racconta del suo fratellino, di 12 anni, che torna a casa cantando gli inni dell’Isis e disegnando la bandiera nera del Califfato. E’ riuscito a toglierlo da scuola: “meglio avere un ignorante in famiglia, piuttosto che un indottrinato dall’Isis”. Anche per gli adulti va particolarmente male, perché gran parte dei lavori pre-Califfato sono ora considerati “peccato” e aboliti sui due piedi. “Ho perso il lavoro e sono stato costretto ad abbandonare gli studi – dice “Hisham” – come capita a chiunque altro, mi vengono negati tutti i diritti. Secondo l’Isis, tutto è peccato e così finisco per stare a casa sempre. Anche la minima attività ricreativa, persino un semplice pic nic, è vietato a Mosul, col pretesto che è uno spreco di tempo e denaro”. L’economia ne risente: l’edilizia è ferma, la spazzatura non viene più raccolta, ci sono blackout frequenti, il carburante scarseggia (e l’Isis ha vietato di tagliare alberi per far legna) e il gas si compra a caro prezzo sul mercato nero.

Quel che stupisce è come, in queste condizioni, la popolazione irachena non si sia ancora ribellata. In parte, ma solo in parte, lo si può spiegare col terrore che le milizie jihadiste incutono sulla popolazione. Ma in gran parte no: si tratta di un regime che viene evidentemente, incredibilmente, accettato dalla maggioranza araba musulmana sunnita. D’altro canto, le leggi che regolano l’Arabia Saudita, o il Qatar, non sono poi così diverse.