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IRAQ

Mosul, 2000 anni di cristianesimo rischiano di sparire

Mosul, Nord dell'Iraq, epicentro del nuovo Stato Islamico, è una città cristiana sin dal II Secolo. Fu il cuore del cristianesimo assiro, uno dei più vitali della regione. Finché lo Stato Islamico non vi ha apposto quella "N" dispregiativa che sta per "Nazareno".

Esteri 22_07_2014
La "N" araba di Nazareno

C'è il dramma di migliaia di persone costrette a lasciare la propria terra a causa della pulizia etnica: un dolore immenso, impossibile da immaginare fino in fondo. Eppure se ci fermiamo solo qui non abbiamo ancora detto tutta la tragedia che stanno vivendo in questi giorni i cristiani dell'Iraq, costretti ad abbandonare Mosul. Ogni angolo del Medio Oriente, infatti, per il cristianesimo non è un posto come gli altri: qui ogni pietra dice qualcosa di ciò che tutti siamo.

Dire Mosul - dunque - per il cristianesimo significa riandare al grande patrimonio di fede del cristianesimo assiro, dal cui alveo sono nate anche le Chiese che oggi chiamiamo caldea e siro-cattolica. Comunità le cui origini risalgono alla predicazione apostolica: la tradizione vuole infatti che gli evangelizzatori siano stati direttamente gli apostoli Tommaso, Taddeo e Bartolomeo; ed è comunque un dato storico la presenza di comunità cristiane a Mosul fin dal II secolo. Questo spiega perché le sue chiese siano così antiche: il monastero di Mar Benham, dal quale ieri le milizie dello Stato islamico hanno cacciato via i monaci, è abitato dagli uomini di Dio fin dal IV secolo. La chiesa dell'Al Tahira - l'Immacolata in arabo, la più antica di Mosul - risale al VII secolo e a testimoniarlo anche visivamente è il fatto che si trova parecchi metri sotto il livello della strada. La chiesa siro ortodossa di San Tommaso, poi, anche questa risalente all'VIII secolo, si chiama così perché custodiva alcune reliquie dell'apostolo evangelizzatore. Anche questo segno però oggi è esule da Mosul: i cristiani hanno portate via al sicuro le reliquie in un altro monastero; erano troppo importanti perché cadessero nelle mani del più fanatico tra i gruppi di miliziani musulmani.

Viene allora da chiedersi: ma perché c'erano così tante chiese antiche a Mosul? La risposta sta nella storia del cristianesimo assiro, che nel primo millennio tra il Tigri e l'Eufrate conobbe una straordinaria vitalità. Al punto che furono loro i grandi evangelizzatori del primo millennio: da qui partirono missionari che molti secoli prima di Giovanni da Montecorvino e Matteo Ricci arrivarono addirittura fino in Cina, come testimonia la stele di Xi'ian. Ma anche in Persia, in Afghanistan, lungo le rotte della via della seta, fino ad arrivare addirittura all'Himalaya. La conquista araba, ma ancora di più la successiva invasione dei mongoli, hanno poi gravemente indebolito la storia del cristianesimo assiro. Ma queste comunità - pur tra mille sofferenze e anche parecchio dimenticate in Occidente - sono sempre sopravvissute. Anche in anni recenti non si erano dissolte nemmeno dopo la prova durissima del rapimento e dell'uccisione del vescovo caldeo di Mosul, Paulos Farahi Rahho, morto martire qui nel 2008. Si capisce allora come l'accostamento pronunciato domenica con amarezza dal patriarca caldeo Raphael Sako contenga un preciso riferimento storico: «Neanche i mongoli erano arrivati a tanto», ha dichiarato.

Accanto alla tragedia del cristianesimo dell'Oriente c'è infine anche un volto tutto latino che vale la pena di segnalare. Mosul è stato infatti un luogo storicamente molto importante pure per i domenicani. L'ordine dei predicatori era giunto in Mesopotamia già nel XIII secolo e aveva stabilito un suo convento anche a Mosul. Con la caduta del regno crociato ad Acri nel 1291 tutti i domenicani presenti qui subirono il martirio. Ma cinque secoli dopo Papa Benedetto XIV volle ricominciare quella storia; così nel 1750 inviò di nuovo i domenicani a Mosul. Una presenza che in 250 anni ha messo radici, al punto che sono nate anche due congregazioni femminili irachene che si rifanno al carisma domenicano e avevano la loro casa madre proprio nella grande città del nord dell'Iraq.

Su tutte queste storie lo Stato islamico ha impresso quella N dispregiativa di «nazareni», dipinta sui muri. Accendere oggi i riflettori su questo dramma è anche un modo concreto per far sì che questa testimonianza straordinaria di fede non vada perduta per sempre.