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COMUNISMO CINESE

Morto Qi Zhiyong, testimone di Tienanmen convertito al cristianesimo

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Qi Zhiyong era stato ferito a Tienanmen il 4 giugno 1989. Convertitosi al cristianesimo ha passato la vita a raccontare la verità su quei fatti, nonostante la persecuzione.

Libertà religiosa 24_01_2024
La protesta di piazza Tienanmen nel 1989

Uno dei più importanti testimoni del massacro di Piazza Tienanmen, di Pechino, del 4 giugno 1989, è morto in questi giorni di malattia. Si chiamava Qi Zhiyong. La notizia è stata rilanciata il 22 gennaio dall’agenzia Asia News, ma non conosciamo né il giorno né le circostanze della morte di questo dissidente. La famiglia non può dire altro, per timore della rappresaglia del regime comunista.

Qi Zhiyong era un testimone importante, non perché fosse un leader. Ma perché, nella sua tenacia e con semplicità, è uno dei pochissimi sopravvissuti ad aver sempre avuto il coraggio di parlare, a tutti, in Cina e all’estero, di cosa era avvenuto in quel 4 giugno di 35 anni fa. Lo testimoniava il suo corpo mutilato, con la gamba sinistra amputata e la destra con le cicatrici della raffica di mitragliatrice che per poco non lo aveva ucciso. I cinesi non ne possono parlare, non lo possono scrivere, non lo possono leggere da alcuna parte. Faceva eccezione Hong Kong, ma dal 2021 ora è vietato parlarne anche nella ex colonia britannica. «Le giovani generazioni mangiano hamburger e indossano marchi famosi. Ma quando si parla del 4 giugno, hanno solo una comprensione molto vaga di ciò che è successo - spiegava Qi al San Francisco Gate nel 2009, in occasione del 20mo anniversario - La democrazia è per tutto il popolo e noi dobbiamo parlare con le persone e portare loro l’idea».

Nel giorno del massacro, Qi aveva 33 anni e lavorava come imbianchino nella Compagnia Municipale di Costruzione n. 6 di Pechino, figlio di un operaio della zecca e convinto comunista. A Tienanmen era andato al seguito di amici, aveva dato una mano agli studenti e agli operai che, chiedendo riforme democratiche, erano accampati nella piazza centrale della capitale. Si è reso conto dell’attacco dell’esercito quando ha iniziato a vedere persone insanguinate che fuggivano dalle vie di accesso alla piazza. In pochissimo tempo si è trovato sotto il fuoco e l’avanzata dei carri armati. «Ho visto persone investite – raccontava – il sangue schizzava ovunque. I carri armati continuavano a muoversi, come se le persone non ci fossero». In un’altra intervista raccontava: «Mi sono reso conto che c'erano soldati tutt’intorno, con fucili, elmetti e occhiali scuri. Ero spaventato perché avevo visto scene del genere solo in televisione, nei film sui fascisti tedeschi».

In un'intevista rilasciata alla BBC nel 2004, eprimeva ancora lo shock per aver visto l'esercito sparare sul suo stesso popolo. «È un crimine aprire il fuoco sul proprio popolo. Chiedevano [i manifestanti, ndr] un cambiamento, perché sentivano un senso di responsabilità nei confronti del loro governo e del loro paese. C'era una nuova atmosfera di speranza. Non potevo credere che il governo potesse aprire il fuoco in quel modo. Ha cambiato la mia vita e ho capito cosa significhi "il potere del Partito Comunista viene dalla canna del fucile"», citando un vecchio motto rivoluzionario maoista.

Nella sua sfortuna, è stato relativamente fortunato. Tutte le persone attorno a lui sono state uccise dal fuoco dei militari, lui è rimasto sotto i cadaveri, ferito a entrambe le gambe. Un uomo ha notato che era ancora vivo e gli ha bendato le ferite con la sua maglietta, una donna gli ha steccato la gamba sinistra con un pezzo di porta. I primi due ospedali lo hanno respinto in malo modo, solo dopo cinque ore di ricerca è stato accolto in un pronto soccorso. Operato in condizioni disperate assieme a centinaia di altri feriti, la gamba sinistra gli è stata amputata fino al ginocchio e ha contratto l’epatite C. Una decina di giorni dopo, è stato operato di nuovo e ha perso un altro pezzo di gamba sopra il ginocchio. Nel 2017, a seguito di ulteriori complicazioni, gli era stato diagnosticato un tumore al fegato.

Da allora è rimasto fisicamente mutilato, ma determinato a combattere fino in fondo la battaglia per la verità. L’azienda per cui lavorava gli ha offerto l’equivalente di 27mila dollari (che nella Cina di allora erano una cifra immensa) per comprare il suo silenzio, ma ha rifiutato. «Ho detto loro – aveva dichiarato nell’intervista al San Francisco Gate – che avrei raccontato la mia storia per il resto della mia vita. E non era solo la mia storia. Sarei impazzito se avessi accettato la loro offerta».

Qi ha pagato caro la sua scelta di non tacere. Non ha mai ricevuto gli aiuti statali per i mutilati e gli invalidi e la polizia ha sempre tenuto sotto stretta osservazione il piccolissimo appartamento del Sud di Pechino che condivideva con la moglie e la figlia. È stato regolarmente arrestato e tenuto in carcere per brevi periodi, per impedirgli di testimoniare, soprattutto in occasione degli anniversari del 4 giugno.

Questo lavoratore sopravvissuto al massacro e pronto a lottare fino alla morte per narrare la verità, era sostenuto soprattutto dalla fede cristiana. Ateo e marxista fino al giorno del massacro, si è convertito dopo il 4 giugno. «Ero stato educato a credere nel nostro governo – come riporta Asia News da una sua intervista - ma il governo mi ha sparato alle gambe. Molte persone hanno perso fiducia nell’educazione, nella politica e nell’ideologia del Partito Comunista. Così ci siamo precipitati in chiesa». Da allora ha frequentato, fino al giorno della sua morte, una piccola chiesa domestica illegale. «Voglio ringraziare il Partito Comunista. Perché all'inizio mi sono fidato di loro – aveva detto nella sua intervista del 2009 - Poi mi hanno sparato, mi hanno amputato una gamba ed è nato un nuovo me. Ho ripulito la mia mente da quei vecchi pensieri maoisti».