Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
Santo Stefano a cura di Ermes Dovico
26 dicembre

Mons. Negri: Stefano insegna il coraggio di annunciare Cristo

Proponendo la verità di Cristo noi amiamo più profondamente di chiunque; fare sconti sulla verità non è amare ma tradire. Da un'omelia di mons. Negri nella solennnità del Protomartire.

Ecclesia 26_12_2024

Il cuore della Chiesa esulta ancora profondamente per il grande evento del Natale. La grazia di Dio, la presenza misteriosa e definitiva di Dio nell’uomo Gesù Cristo, Figlio di Dio e Figlio dell’uomo, che incomincia il suo cammino sulla terra. Il cristianesimo è un uomo nuovo che vive nel mondo, come ci ha insegnato Benedetto XVI: non è né un’ideologia religiosa, né un progetto morale, ma un uomo che si incontra, che si può seguire, che si può amare, che si può preferire ad altre più godevoli o più immediate amicizie. (...)

La giornata di Santo Stefano, se rispondesse ad una domanda trepidante della Chiesa: ma dove continua questo evento? Questo evento di Dio per l’uomo, di Dio con l’uomo? Questo evento di luce e di grazia, questo evento di pienezza, questa liberazione definitiva dell’uomo dal limite, dal male, dall’errore? Dove continua? La giornata di oggi ci risponde che il cristianesimo, cioè Cristo che vive nel mondo, continua nella libertà di coloro che ci stanno, di coloro che riconoscono che la sua presenza vale più della vita, perché è il senso della vita; la sua presenza vale più degli onori, perché il sommo onore di un uomo è poter dire di sì al Mistero di Cristo. Ecco allora che il Mistero di Cristo, della storia di Cristo, diventa il Mistero di coloro che accettano di vivere la propria vita non più per se stessi, ma per Lui, che è morto e risorto per noi; di coloro dunque che affrontano l’esistenza di tutti i giorni nelle vicende straordinarie o in quelle ordinarie, con una certezza: la vita, la vita vera, è quella di Dio, la vita vera è quella che Dio ci comunica, la vita vera di Dio si manifesta nel mondo attraverso la nostra vita vissuta in Lui, con Lui e per Lui.

Stefano, poco più di un ragazzo, ha sentito che il legame che lo stringeva al Signore Gesù Cristo era assolutamente indefettibile, che il Signore che aveva incontrato e di cui aveva visto muoversi nella sua storia i passi, era l’evento definitivo. Era Lui che doveva affermare, era Lui che doveva annnunziare, Lui era il criterio con cui giudicare la propria vita e la storia, e particolarmente la storia così straordinaria del popolo di Israele, che si era in Cristo conclusa nella maniera così tragica in qualche modo incomprensibile.

La missione, la testimonianza di Stefano è l’inizio della missione della Chiesa. E la Chiesa ce lo ricorda il giorno dopo del Natale, perché lo sviluppo di quell’inizio che è Gesù Bambino è la testimonianza dei cristiani. (...) Stefano si è identificato, immedesimato con la presenza di Cristo, di cui amava ogni momento e ogni realtà; e questa immedesimazione gli aveva fruttato una straordinaria capacità di grazia e di potenza, come dicono gli Atti: “faceva grandi prodigi e miracoli fra il popolo” (cfr. At 5,12).
La discussione che s’alza nel cuore della sinagoga era per eliminare questo testimone scomodo, che diceva una cosa incredibile e inaccettabile per le orecchie e per il cuore degli israeliti, in particolare per gli scribi e farisei: l’avvenimento di Cristo aveva compiuto l’Antico Testamento, l’avvenimento di Cristo era la definitiva presenza della gloria di Dio, quella gloria di Dio che l’antico popolo di Israele aspettava e che si era manifestato a loro nella vita, nella passione, nella morte e nella risurrezione del Signore.

Stefano dà la sua testimonianza anzitutto dicendo la verità. Dire la verità a quegli uomini voleva dire che Cristo era il Figlio di Dio e coloro che lo avevano eliminato, avevano eliminato la presenza del Figlio di Dio sulla terra. Non ci potevano essere accomodamenti. Non ci potevano essere mediazioni. L’annunzio di Cristo rivela tutta la misericordia del Signore, rivela tutta la condiscendenza e la benevolenza di Dio. Il cuore della testimonianza cristiana è affermare la verità, è dire che Cristo è il senso ultimo della vita e della storia e quindi che in Lui e soltanto in Lui trova il proprio compimento e la propria realizzazione ogni desiderio di verità, di bene, di giustizia, di bellezza.  (...)

Stefano ha parlato della verità che è Cristo e ha investito i suoi fratelli – perché egli era ebreo come loro – di un giudizio che certamente non poteva non sollevare resistenze, ma Stefano andò fino in fondo nella proclamazione della verità. E qui si capisce la grandezza della testimonianza di Stefano, che è la grandezza della testimonianza della Chiesa in ogni momento della sua storia; quindi, fratelli miei, deve essere la grandezza della nostra testimonianza cristiana, perché anche noi siamo il Santo Stefano di oggi, che, di fronte al mondo di oggi, deve rivivere profondamente la testimonianza della Chiesa e di Santo Stefano.

La chiarezza del giudizio divenne una straordinaria capacità di comprensione e di perdono. La chiarezza del giudizio – che fu data con assoluta chiarezza – si coniugò – e questo è un mistero difficilmente comprensibile dalla mentalità comune, e quindi anche dalla mentalità comune che vive nella Chiesa – con la verità che diventa misericordia. Non ha bisogno di spegnersi la verità, non ha bisogno di ridursi a quello che già gli uomini pensano, per poter rispettare gli altri. Noi rispettiamo gli altri se proponiamo agli altri con assoluta chiarezza la verità che ci è stata consegnata. Noi non la imponiamo, la proponiamo. E in questo proporre la verità di Cristo alla libertà degli altri, noi amiamo gli uomini che ci circondano più profondamente di qualsiasi altro, perché amiamo il loro cuore. E il loro cuore è una domanda di verità, di bene, di bellezza, di giustizia.(...)

Non possiamo fare sconti sulla verità per amare di più gli uomini: questo è tradire la verità. Questo noi chiediamo a Santo Stefano, di avere il coraggio di dire al mondo di oggi: Cristo vi viene incontro e vi salva, come ha salvato noi.

 

Da un'omelia di mons. Luigi Negri (1941-2021) del 26 dicembre 2009