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ABORTO

Mississippi, la sconfitta vittoriosa dei pro-lifer

Il referendum anitabortista che i vescovi hanno bocciato per timore di estremismo fallisce. Ma non si vive mai di sola strategia.

Attualità 14_11_2011
Mississippi, Initiative 26

 

Quella del Mississippi, l’8 novembre, è stata per molti versi una sorpresa.

Il fronte pro-life ha perso il referendum - Initiative 26 - indetto per chiedere che la Costituzione di quello Stato dell’Unione federale nordamericana venisse emendata introducendo il pieno riconoscimento della dignità dell’embrione umano sin dall’istante del concepimento, e cioè garantendogli i medesimi diritti e le stesse tutele giuridiche di un uomo "più vecchio", feto, bimbo, adulto o anziano.

Capitanati dalla combattiva organizzazione Personhood USA, i pro-lifer hanno perso ottenendo il 45% dei consensi espressi nell’urna. Si è trattato di una sorpresa piuttosto inattesa perché dalla parte dei pro-lifer erano schierati testimonial importanti e bipartisan, come per esempio il governatore uscente dello stesso Mississippi Haley R. Barbour (Repubblicano), il suo successore (pure Repubblicano ed eletto proprio l’8 novembre) Phil Bryant, lo sfidante Democratico sconfitto Johnny DuPree, il ministro (rieletto) della Giustizia di quello Stato James M. Hood (Democratico), il suo sfidante Repubblicano (sconfitto l’8 novembre) Stephen Simpson, l’ex governatore e star del nuovo conservatorismo Mick Huchabee, diverse associazioni di medici cattolici, uno dei colossi del diritto statunitense alla vita qual è l’American Life League, nonché l’American Family Association, il Family Research Institute e la Chiesa più grande di tutto quello Stato ovvero la Mississippi Baptist Convention.

Cosa è andato storto? Certamente è mancato l’appoggio dell’episcopato cattolico e del National Right to Life (NRL), un’altra delle major dell’antiabortismo USA.

Perché? Perché - è stato detto - il quesito referendario era troppo tranchant, il linguaggio troppo duro e la posta in gioco troppo delicata. Non che i vescovi americani e l’NRL abbiano temuto il confronto diretto: solo li ha spaventati il rischio che il troppo zelo arenasse l’intero dibattito sul diritto alla vita in secche sterili.

Quella dell’aborto e del riconoscimento della piena personalità giuridica all’embrione sin dal concepimento è infatti una battaglia che, negli Stati Unti come altrove, conosce mille tattiche, tra cui quella della guerra di posizione e della trincea dov’è logoramento e resa per sfinimento.

In questo contesto, tutto è delicato e tutto è costantemente in bilico. Un solo passo falso, anche solo mezzo, può distruggere il lento lavorio di anni, pregiudicando irrimediabilmente il futuro. Varare un emendamento radicale nella Costituzione di uno dei 50 Stati può infatti finire per esacerbare gli animi e frenare il grande lavoro di cesello che cerca di eliminare la legge sull’aborto in tutta l’Unione federale. Insomma, i vescovi hanno ritenuto che l’eventuale successo dei pro-lifer del Mississippi sarebbe stata solo una vittoria di Pirro, spiega (non condividendo) su Life Issues E. Christian Brugger, professore associato di Teologia morale al Seminario teologico san Giovanni Vianney di Denver, in Colorado. Ma attenzione. È vero, come dicevano alla vigilia del referendum i filoabortisti, che l’Initiative 26 era tanto dura da finire certamente per provocare una divisione nel campo pro-life, ma quella divisione «non centra con la volontà del referendum di assicurare protezioni giuridiche a tutti gli esseri umani sin dal concepimento»: infatti «la divisione riguarda solo la strategia».

Ricorda infatti (sempre senza condividere) Brugger che la Costituzione statunitense garantisce oggi accesso all’aborto mediante un cosiddetto diritto alla privacy riproduttiva e sessuale delle madri. Se dunque in Mississippi venisse garantita protezione costituzionale agli esseri umani non ancora nati, in quello Stato la maggior parte degli aborti verrebbe di conseguenza proibita. Ne nascerebbe un conflitto tra la Costituzione del Mississippi e quella federale degli Stati Uniti, con la prima che verrebbe trascinata in tribunale e facilmente il suo emendamento pro-life giudicato illegittimo. A quel punto i pro-lifer si appellerebbero certamente alla Corte Suprema federale di Washington, la quale però, «data la sua conformazione ideologica, con grande probabilità si pronuncerebbe a loro sfavore». Così hanno ragionato i vescovi e il NRL, una « ragione - dice Brugger - plausibile ma non granitica».

Sono infatti circa cinque anni, ricorda il commentatore di Life Issues, che i vescovi cattolici degli Stati Uniti e l’NRL si oppongono a referendum come quelli celebrati in Mississippi, per esempio in Colorado nel 2008 e in Georgia nel 2010. E questo per non danneggiare con sortite estremiste il più ampio lavoro pro-life svolto a livello federale.

Eppure anche in molti ambienti cattolici la decisione dell’episcopato (riguardo il Mississippi come in generale l’intera sua strategia) è accolta con ampie perplessità, per non parlare degli ambienti non-cattolici, per esempio quelli protestanti dove la collaborazione sul diritto alla vita è fondamentale e proficua, e non raramente pure foriera di conversioni.

Accade sempre in questi casi, si dirà. Vero. Ma nel caso del referendum del Mississippi qualcosa modifica sensibilmente il quadro. Alla vigilia del voto praticamente tutti, favorevoli e non (per opposti motivi e non appunto tutti spregevoli), si dicevano certi della vittoria pro-life. Non è andata così, ma di un soffio appena. Mai infatti come in Mississippi la richiesta di emendamento costituzionale a tutela dell’embrione umano ha raccolto tanti e tali consensi (nel 2008 in Colorado i pro-lifer persero 73% a 27 e nel 2010 in Georgia 70% a 30). La strategia ha il suo senso, ma è sempre un mezzo e mai un fine; forse, dicono in molti (anche molti cattolici), è ora di rivederla soprattutto perché il Mississippi testimonia che la situazione, nel grande pubblico, è fortemente cambiata.

Una cosa è comunque certa: il referendum del Mississippi non è stata fortunatamente una vittoria di Pirro, però una vittoria morale sì. Nessuno, pur legittimamente accarezzando strategie e non scopi diversi, la potrà dimenticare. A costo di far rivoltare il generale Carl von Clausewitz nella tomba, ciò significa che non di sola strategia vive l’uomo. Sin dal concepimento.