Militari italiani in Lettonia, la Russia si sente provocata
Una compagnia di alpini italiani andrà in Lettonia, nell'ambito della Nato, per coprire il fianco orientale dell'Alleanza. La Russia reagisce male, considerando questi rinforzi come un chiaro segnale politico di ostilità. Ma perché l'Italia partecipa? Per ottenere aiuto sul Mediterraneo. E' un buon affare?
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Tutte le opposizioni hanno attaccato duramente il governo Renzi per la decisione di inviare 140 militari (una compagnia di fanti) nella forza Nato a comando canadese composta da 4 battaglioni che “rassicurerà” i baltici preoccupati dalla nuova guerra fredda con Mosca.
I quattro battaglioni di fanteria, uno in Polonia e tre nelle repubbliche baltiche di Estonia, Lettonia e Lituania, non altereranno i rapporti di forza ma costituiscono solo un dispiegamento simbolico a difesa di membri della Nato che la Russia non ha alcuna intenzione né interesse ad attaccare. La necessità di mostrare la solidarietà della Nato ai partner orientali dell’alleanza nasce da un retaggio storico in cui i Paesi dell’Europa Orientale hanno sempre dovuto subire le mire espansionistiche di russi (e tedeschi) e dalla campagna offensiva condotta da anni contro Mosca dagli anglo-americani, non a caso i principali “azionisti” della Nato. L'invio di soldati italiani in Lettonia "non fa parte di una politica di aggressione verso la Russia, ma di rassicurazione e difesa dei nostri confini come Alleanza Atlantica" ha detto il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni. “Pensiamo che con la Russia si debba dialogare" ha detto il ministro della Difesa, Roberta Pinotti, ricordando che la decisione "di avere delle forze di rassicurazione nei paesi baltici, temporanee e a rotazione, è stata assunta a Varsavia" al vertice della Nato di luglio dove Roma offrì 140 militari, un contingente che la stessa Pinotti ha definito “non molto consistente”.
Di fronte al clamore di queste ultime ore va rilevato che in luglio l’annuncio dell’invio dei militari in Lettonia non provocò particolari reazioni ma a scatenare l’acceso dibattito politico ha contribuito l’intervista rilasciata alla Stampa dal segretario generale della Nato, Jeans Stoltenberg in cui si evidenzia il ruolo dell’Italia che tra due anni assumerà il comando della forza di reazione ultrarapida della Nato. Stoltenberg ha legato il dispiegamento delle forze alleate nei Paesi Baltici alla minaccia di Mosca, sempre più imprevedibile e responsabile di aver dispiegato missili che possono essere armati con testate nucleari vicino ai confini europei”. Il riferimento è ai missili balistici Iskander a Kaliningrad ma il segretario generale evita ricordare le cause dell’irritazione russa. Il progressivo ampliamento della Nato lungo i confini orientali e meridionali della Russia (dall’Ucraina alla Georgia), lo schieramento dello “scudo antimissile” Usa in Polonia e Romania con radar in grado di esplorare in profondità lo spazio aereo di Mosca e lanciatori idonei a imbarcare non solo missili anti-missile ma anche ben più offensivi missili da crociera. Da aggiungere anche il “golpe” del Maidan in Ucraina teso a sottrarre il Paese attraversato da gasdotti che riforniscono l’Europa all’orbita russa per impedire a Mosca di continuare a essere una potenza europea e per portare in prospettiva i confini della Nato a 300 chilometri da Mosca. Non ultimo il tentativo occidentale di abbattere Assad in Siria, dove Mosca ha l’unica base navale nel Mediterraneo, obiettivo che vede Londra e Washington parlare apertamente di opzioni militari contro le forze di Damasco che inevitabilmente coinvolgerebbero i russi e favorirebbero i nostri “alleati” di al-Qaeda e Stato Islamico.
Per Stoltenberg "serve un'Alleanza forte non per provocare una guerra, ma per prevenirla" a causa degli enormi investimenti fatti dalla Federazione russa sulla Difesa” negli ultimi anni. Se in termini percentuali Mosca spende per la difesa il 4% del PIL (quanto gli USA) e punta a raggiungere il 5% l’anno prossimo i dati finanziari dicono però che la spesa militare russa è stata nel 2015 di circa 100 miliardi di dollari, cioè sei volte di meno degli USA (618 miliardi) e quasi 9 volte meno della spesa complessiva della Nato che somma il bilancio degli Stati Uniti ai 253 miliardi spesi dai membri europei della Nato per un totale di 871 miliardi, cioè più della metà dei 1676 miliardi di dollari che secondo l’istituto di ricerche Sipri di Stoccolma sono stati investiti in tutto il mondo per la spesa militare. Non sorprende perciò che Maria Zakharova, portavoce del ministero degli esteri russo ha definito "distruttiva" la politica della Nato, impegnata a costruire “nuove divisioni in Europa invece che profonde e solide relazioni di buon vicinato".
Al di là del dibattito politico italiano, reso più conflittuale dall’avvicinarsi del referendum costituzionale, non saranno 140 alpini in Lettonia a modificare l’assetto politico di Roma nei confronti della crisi tra USA/Nato e Russia. Il governo Renzi è da sempre critico nei confronti degli anglo-americani, i maggiori “azionisti” della Nato che soffiano sul fuoco dei timori russofobi di baltici, polacchi, rumeni e bulgari. In ambito europeo l’Italia chiede da tempo la fine delle sanzioni economiche a Mosca ma per comprendere la posizione di Roma occorre tenere conto di almeno due valutazioni. La prima è che Renzi è già impegnato in un braccio di ferro con Berlino teso a modificare le politiche economiche e finanziarie della Ue dettate dalla Germania. Una battaglia impegnativa a cui Renzi non può permettersi di aggiungere uno scontro con Stati Uniti e Nato sul “fronte russo”. Occorre inoltre ricordare che al vertice di Varsavia il governo italiano non poteva sottrarsi a un impegno simbolico nella forza di reazione rapida dopo aver chiesto agli alleati di impegnarsi sul “fronte sud” dove siamo esposti al crescente caos libico e ai flussi di immigrati illegali. Non a caso il Presidente Sergio Mattarella ha ricordato giovedì a Stoltenberg che l’Italia sopporta da sola il peso dei flussi migratori sollecitando la Nato a “implementare la sua strategia verso il Mediterraneo”.
Gli obiettivi di un eventuale intervento Nato nelle acque tra la Sicilia e la Libia restano però tutti da chiarire. Senza una decisa politica italiana di respingimenti il rischio è che una flotta Nato si limiti a fare quello che già fanno le unità navali italiane ed europee: raccogliere dai gommoni i clandestini per sbarcarli in Italia.
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