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MEDITERRANEO

Migliaia di disperati in mano ai trafficanti di uomini

La notizia di un nuovo naufragio nel Mediterraneo (oltre 200 gli emigranti annegati) rilancia la tragedia dei migranti. Quel popolo che dall’Africa Orientale e dal Corno d’Africa, attraversa il Sudan e l’Egitto, fino alla penisola del Sinai, per raggiungere Israele oppure le coste egiziane del Mediterraneo. Un vero e proprio traffico di merce umana gestito dai Rashaida, una tribù del Sudan settentrionale, e da alcune tribù egiziane beduine.

Cronaca 19_04_2016
Il gommone alla deriva nel Mediterraneo

La notizia di un nuovo naufragio nel Mediterraneo è arrivata all’alba del 18 aprile: una o più imbarcazioni, forse quattro, oltre 400 gli emigranti a bordo e, dalle prime informazioni, soltanto 29 i sopravvissuti, soccorsi e trasportati in una delle isole della Grecia. Si stimano almeno 200 vittime. Sembra che sia successo al largo delle coste egiziane, nel tratto di mare percorso dagli scafisti che trasportano gli emigranti dall’Egitto alla Sicilia Orientale e alla Calabria, destinazione finale di una delle tre principali rotte migratorie africane e forse la più pericolosa: quella che inizia dall’Africa Orientale e dal Corno d’Africa, attraversa il Sudan e l’Egitto, fino alla penisola del Sinai, per raggiungere Israele oppure le coste egiziane del Mediterraneo. A intraprendere il viaggio verso l’Europa seguendo questa rotta sono soprattutto cittadini di tre stati: Eritrea, Somalia ed Etiopia.

Delle altre due maggiori rotte africane, una, percorsa dagli emigranti dell’Africa occidentale e centrale, attraversa Mali e Niger e termina in Libia oppure, tramite la Mauritania, in Marocco, dove si trova Oujda, uno dei più grossi centri di raccolta degli emigranti. Entrambi i percorsi sono costosi e non esenti da rischi: prima quello di non sopravvivere alle insidie del deserto del Sahara e poi di naufragare nell’Atlantico, durante le traversata verso la Spagna, o nel Mediterraneo, alla volta della Sicilia, navigando su imbarcazioni talvolta stracariche, alla deriva quando il carburante troppo “tagliato” usato dagli scafisti non riesce ad alimentare il motore.

La seconda delle tre rotte parte anch’essa dall’Africa orientale diretta alla Libia risalendo il Sudan. Ma dal 2011 e per alcuni anni, dopo la caduta del regime del colonnello Gheddafi, è stata meno usata. Molti emigranti hanno preferito optare per quella che porta in Egitto. Il punto più insidioso di quella rotta è il Sinai dove si è sviluppato un vero e proprio traffico di merce umana gestito dai Rashaida, una tribù del Sudan settentrionale, e da alcune tribù egiziane beduine. I Rashaida avevano iniziato chiedendo denaro agli emigranti per organizzare le tappe successive del loro viaggio: all’inizio, nel 2008-2009, il costo andava dai 1.000 ai 2.000 dollari. Ben presto però hanno intravisto un modo più redditizio di approfittare degli emigranti: sequestrarli e chiederne il riscatto oppure rivenderli ad altre tribù, egiziane queste ultime, che a loro volta ne trattano il riscatto o vendono ad altri la “merce” che, di passaggio in passaggio, acquista sempre più valore. Il destino di chi non ha nessuno che sia in grado di riscattarlo è terribile. Finisce i suoi giorni come schiavo, costretto a lavorare e a vivere in condizioni inumane. Altrimenti viene ucciso per espiantarne gli organi e venderli al mercato nero al Cairo. 

Neanche i bambini vengono risparmiati. In base alle testimonianze dei sopravvissuti e alle rilevazioni delle associazioni umanitarie che li assistono, si ritiene che dal 2009 siano oltre 15.000 gli emigranti rapiti, 7.000 quelli vittime di torture e abusi e almeno 4.000 i morti.  Per i paesi del Corno d’Africa, l’alternativa alle rotte di terra dirette verso l’Egitto e la Libia è la traversata del golfo di Aden per emigrare in Yemen. Ma gli scafisti, per evitare la guardia costiera yemenita, costringono gli emigranti a gettarsi in acqua spesso a notevole distanza dalla terra ferma: perciò molti muoiono annegati o divorati dagli squali di cui quelle acque sono infestate. 

L’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati stima che dal 2006 abbiano attraversato il Golfo di Aden alla volta dello Yemen oltre mezzo milione di emigranti, metà dei quali somali, ai quali è automaticamente riconosciuto lo status di rifugiati. All’arrivo, gli emigranti, a meno che non abbiano qualcuno ad attenderli, vengono rinchiusi in campi dove, sia che sperino di rimanere in Yemen sia che intendano emigrare in Arabia Saudita, meta di molti di essi, attendono anche per mesi che qualcuno si occupi di loro. Malgrado i rischi elevatissimi, per anni il numero di emigranti lungo questa rotta è andato crescendo. Si è ridotto da quando è iniziata in Yemen la guerra civile, nel 2012. Se i numeri fossero confermati, quella al largo delle coste egiziane sarebbe una delle tragedie più gravi degli ultimi anni, dopo quella verificatasi esattamente un anno prima, il 18 aprile 2015, allorché una nave sovraccarica partita dalla Libia si è ribaltata nel Canale di Sicilia provocando la morte di circa 700 emigranti.

Tardano ad arrivare notizie ulteriori, l’incidente potrebbe rivelarsi meno grave di quanto annunciato. Nel frattempo però è giunta conferma di un altro naufragio. Si tratta di un gommone raggiunto dai soccorritori il 18 mattina al largo delle coste della Libia semisgonfio, pieno d’acqua e con il motore fuori uso. 108 persone sono state salvate, ma sono stati recuperati sei cadaveri. I superstiti sostengono che alla partenza i passeggeri erano 140. Poche ore prima, durante la notte, altri 33 emigranti erano stati messi in salvo in prossimità delle coste orientali della Sicilia. Dall’inizio del 2016 sono arrivati in Italia più di 23.000 emigranti, 6.000 soltanto a partire da martedì scorso 12 aprile.