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FIDUCIA ALLA CAMERA

Meloni a gonfie vele. Il rischio ora è solo il fuoco amico

L'esecutivo incassa la fiducia alla Camera e viaggia col vento in poppa. Ora il vero problema per Giorgia Meloni sarà gestire le frizioni interne di Lega e sopratuttto Forza Italia, pronta all'implosione. La prossima grana potrebbe essere la "spartizione" di viceministri e sottosegretari. 

Editoriali 26_10_2022

Il governo Meloni ieri ha ottenuto la fiducia alla Camera e oggi la otterrà anche al Senato, dopo di che comincerà a pieno titolo la sua navigazione nelle acque tempestose della politica italiana. Le sfide che attendono il nuovo esecutivo richiederanno la massima compattezza tra le forze che lo sostengono e ogni eventuale passo falso presterà subito il fianco alle aspre critiche degli sconfitti alle elezioni del 25 settembre e di gran parte della stampa italiana.

Nel programma illustrato dal nuovo Presidente del Consiglio ci sono tanti punti incoraggianti, dall’abolizione del reddito di cittadinanza alle rassicurazioni sul fatto che non ci saranno mai più restrizioni come quelle imposte agli italiani durante la pandemia. Sul semipresidenzialismo la Meloni ha lasciato intendere che cercherà il dialogo con le opposizioni, magari proponendo contestualmente un nuovo sistema elettorale diverso dal Rosatellum; tuttavia, ha anche chiaramente avvertito che non cederà ai ricatti delle opposizioni, ove rispondessero con i pregiudizi alle proposte di riforma dell’ordinamento statale.

Ma c’è da scommettere che il nuovo governo si concentrerà sulle urgenze come il caro energia e l’inflazione, promuovendo iniziative per sollevare gli italiani dallo stato di disagio nel quale versano da mesi e che rischia di condurre al fallimento migliaia e migliaia di imprese, soprattutto medio-piccole.

Flat tax, autonomie e quota 41, cavalli di battaglia leghisti, sembrano rimasti sullo sfondo nel discorso pronunciato dalla leader di Fratelli d’Italia alla Camera, ma di certo il Carroccio nel tempo li tirerà fuori per rispondere alle aspettative del suo elettorato.

Ora c’è un ultimo adempimento, tutt’altro che formale, prima di archiviare questa fase di transizione dal governo Draghi al governo Meloni: la scelta di viceministri e sottosegretari. Potrà sembrare una formalità, visto che le poltrone più importanti sono già state assegnate (i 24 incarichi da ministro).

Mentre in Fratelli d’Italia non ci saranno problemi di alcun tipo nell’individuazione di viceministri e sottosegretari, nella Lega e ancor più in Forza Italia volano i coltelli. Nel Carroccio i malumori nei confronti della gestione Salvini si sono abbastanza placati perché il Capitano in questa fase ha cercato di riavvicinarsi ai governatori e ha svolto un ruolo di cerniera e di pontiere tra Meloni e Berlusconi. Tuttavia, l’attribuzione di poltrone in un partito come la Lega che ha comunque perso voti e parlamentari, resta sempre un’incognita.

Per non parlare di Forza Italia, che è a brandelli. Lacerato dalle divisioni tra governisti e falchi, vale a dire tra il neo ministro degli esteri, Antonio Tajani e il capogruppo al Senato Licia Ronzulli, il partito del Cavaliere rischia di spaccarsi definitivamente sulla scelta di sottosegretari e viceministri, perché i pretendenti sono tanti. L’intervista a Repubblica di Giorgio Mulè, appena nominato vicepresidente della Camera e uomo di fiducia di Licia Ronzulli, ha scatenato un putiferio. Mulè ha sostanzialmente chiesto ai ministri forzisti Tajani e Bernini (Università e Ricerca) di lasciare gli incarichi di partito.  

È noto che la Ronzulli aspiri da tempo a prendere il posto di Tajani per controllare del tutto le truppe azzurre, senza doversi più confrontare con i nemici interni. Lo avevano capito per tempo, mesi fa, Maristella Gelmini e Mara Carfagna quando abbandonarono Forza Italia per farsi ricandidare da Azione di Calenda. Ma il rischio serio per quel partito è ora l’implosione. I sondaggi lo davano al 5%. Miracolosamente ha raggiunto l’8%, ma ha raccolto la metà dei parlamentari della Lega, che evidentemente, pur avendo raggiunto la stessa percentuale, aveva tutelato meglio i suoi interessi in fase di preparazione delle liste.

Berlusconi di questo soffre e ha sempre la tentazione di voler rovesciare il tavolo. Rumors attendibili rivelano però che sarebbero stati proprio i figli e Gianni Letta a raccomandargli prudenza per evitare che le sue intemperanze scatenino il classico fuggi fuggi da una barca, quella forzista, che ormai fa acqua da tutte le parti. In altre parole, gran parte dei deputati e senatori di Forza Italia potrebbero staccarsi e costituire un loro gruppo di sostegno all’esecutivo Meloni per poi confluire, nel tempo, in Fratelli d’Italia o, per quanto riguarda alcuni parlamentari del nord, nella Lega. La dissoluzione di Forza Italia non è mai stata così vicina.

Nonostante questo, Meloni farebbe bene a guardarsi dal “fuoco amico”, perché l’approssimarsi delle elezioni regionali nel Lazio e in Lombardia potrebbe rinfocolare le tensioni nel centrodestra, con inevitabili ricadute sulle votazioni parlamentari a sostegno del governo. Molti senatori sono diventati ministri e quindi non potranno assicurare una presenza costante in aula. Potrebbero quindi spesso mancare i voti necessari per far approvare i provvedimenti. Per questo Renzi e Calenda, che non vedono l’ora di rientrare nel perimetro governativo, a prescindere da chi guidi l’esecutivo, preferiscono tenersi le mani libere e non costituire alcun intergruppo con le altre opposizioni. Magari la loro stampella in alcune circostanze potrebbe tornare utile.