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CAOS ROMA

Marino in agonia, le elezioni si avvicinano sempre più

Scioperi selvaggi, boicottaggi nell’erogazione dei servizi pubblici, tensioni fra cittadini e stranieri, giudizi impietosi del New York Times, dell’Economist, che indicano in Roma l’esempio della cattiva gestione della cosa pubblica. Quanto c’è di vero e quanto c’è di costruito ed enfatizzato in tali ricostruzioni?

Politica 27_07_2015
Il sindaco di Roma Ignazio Marino

La lenta, ma inesorabile dissoluzione della giunta Marino è la riproduzione fedele del degrado civico e dei disordini sociali che attraversano la capitale da alcuni mesi. Scioperi selvaggi, boicottaggi nell’erogazione dei servizi pubblici (dai trasporti allo smaltimento dei rifiuti), tensioni fra cittadini e stranieri in alcuni quartieri, giudizi impietosi ma veritieri del New York Times, dell’Economist e di altri organi d’informazione di tutto il mondo, che indicano in Roma l’esempio della cattiva gestione della cosa pubblica. Quanto c’è di vero e quanto c’è di costruito ed enfatizzato in tali ricostruzioni?

Sicuramente il ricco piatto dell’Anno Santo, che si approssima, ha scatenato gli appetiti di molte lobbies e quindi va da sé che si cerchi di aggredire la “greppia” di risorse che si materializzerà con il Giubileo, defenestrando l’amministrazione in carica e accelerando quel ricambio che tanto fa gola ad alcune consorterie di potere. Ma sarebbe certamente fuorviante indicare nell’attuale sindaco l’incolpevole bersaglio di tali manovre. L’incapacità del primo cittadino nella conduzione della città è emersa in tutta la sua nitidezza. Marino ha mostrato fortissimi limiti caratteriali e macroscopici deficit di competenze, non è riuscito ad andare oltre sterili interventi fintamente ambientalisti (piste ciclabili) e non ha tuttora un’idea chiara di città. Inoltre, al di là dei suoi tentativi maldestri di smarcarsi da Mafia Capitale, è rimasto impantanato con alcuni suoi uomini fidati nella rete del malaffare emerso dalle inchieste, senza mai riuscire a prenderne del tutto le distanze.

In meno di un mese, quattro pedine fondamentali del governo cittadino si sono sfilate. Sabato si è dimessa, con una lettera indirizzata al sindaco, Silvia Scozzese, che nella giunta comunale era assessore al Bilancio dall'estate scorsa, dopo le dimissioni di Daniela Morgante. Il giorno prima Marino, peraltro senza troppa eleganza, aveva chiesto al responsabile dei trasporti, Guido Improta, di formalizzare le sue dimissioni, annunciate da oltre un mese. Poco più di una settimana prima, aveva rassegnato le dimissioni anche il vicesindaco, Luigi Nieri. Inoltre, dieci giorni prima, aveva abbandonato il campo anche il capo di gabinetto del sindaco, Liborio Iudicello.

In due anni la giunta Marino ha perso otto assessori, eguagliando la cifra raggiunta in cinque anni dalla precedente giunta, quella guidata da Alemanno (2008-2013). Il sindaco Marino dovrebbe annunciare il rimpasto e avviare la cosiddetta “fase 2” della sua giunta. L’assessorato al Bilancio andrà a Marco Causi, che ricoprì quell’incarico già nella giunta Veltroni e che potrebbe anche assumere il ruolo di vicesindaco. Le altre caselle verranno riempite dopo aver deciso se mantenere l’alleanza con Sel o rinunciarvi. Ma al di là delle sostituzioni istituzionali siamo di fronte a una crisi senza precedenti per l’amministrazione capitolina.

Nella lettera con la quale la Scozzese ha formalizzato le sue dimissioni si coglie il senso della sua insoddisfazione per la gestione Marino e la profondità delle spaccature in seno al Pd, considerato che l’ormai ex assessore al Bilancio è di fede renziana: «Da un po' di tempo registro l'affievolimento dell’azione riformatrice ed il compimento di scelte che a me appaiono in contraddizione con le finalità che insieme ci eravamo dati». Una sconfessione senz’appello dell’operato di Marino, che fa il paio con la netta presa di distanza dell’assessore ai Trasporti, Improta, anch’egli renziano e assai critico con la gestione del Campidoglio degli ultimi mesi.

Sulle teste dei cittadini romani, quindi, si sta consumando una lotta fratricida tutta interna alla sinistra e dagli esiti imprevedibili. Mentre la città sprofonda nella sporcizia e nell’indecenza, il sindaco si ostina a tenere in piedi artificialmente una maggioranza che non c’è più e si copre di ridicolo annunciando la privatizzazione dell’Azienda di trasporti pubblici (Atac), pur sapendo che solo un folle ne acquisterebbe delle quote sul mercato. E allora il pallino è nelle mani del Pd nazionale, che dovrebbe chiedere ai suoi consiglieri comunali del Campidoglio di sfiduciare il sindaco per consentire ai romani di tornare a votare. Perché Renzi non lo fa? Perché il premier non raccoglie il guanto di sfida di Marino, che tre giorni fa ha umiliato un assessore assai vicino a Palazzo Chigi, come Improta? Perché ha paura di perdere e di consegnare la città nelle mani dei grillini. È tutto qui il nocciolo della questione. Renzi e Marino si detestano, ma il primo è prigioniero della paura di perdere (e una sconfitta a Roma potrebbe avere ricadute sul governo nazionale) e il secondo sa che può contare sull’istinto di conservazione di assessori e consiglieri comunali, che non vogliono tornare a casa, visto che difficilmente verrebbero ricandidati. 

Ma quanto può durare questa pantomima? Il Giubileo è alle porte e Roma, che in quanto capitale dovrebbe essere il biglietto da visita dell’intera Italia, non può permettersi di consegnare a milioni di pellegrini e turisti l’immagine di una città decadente, sopraffatta dal malaffare e dall’incapacità amministrativa. É ora che il premier si assuma le sue responsabilità e che il Pd prenda una posizione netta. Al di là delle colpe di Marino, pur prendendo atto del boicottaggio cui è stata sottoposta negli ultimi mesi la sua amministrazione, occorre convincersi che le urne, se possibile già a novembre, sarebbero l’unica opportunità di riscatto per Roma e per l’intero Paese. A meno che Renzi non speri di poter avere l’assist dal ministro dell’Interno Angelino Alfano, che il 7 agosto consegnerà le sue conclusioni su Mafia Capitale e magari spingerà l’assemblea del Campidoglio verso lo scioglimento.