Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
1 GENNAIO

Maria, maternità divina che si apre alla redenzione

Quando pensiamo alla madre di Dio si tende a “scivolare” sulla nostra esperienza, riducendo Maria alla mamma carnale. Invece la Chiesa insegna che è proprio affermando il titolo di Dei Genetrix che la verità delle due nature dell’unica Persona divina viene difesa. Il suo sì all’incarnazione, inoltre, racchiude in sé il sì alla partecipazione all’opera redentrice del Figlio. Per questo è corredentrice e non solo portatrice di virtù.

Ecclesia 01_01_2021 English Español

Siamo così abituati al titolo mariano di Theotokos, Madre di Dio (più letteralmente “generatrice di Dio”, come esprimono i termini latini di Deipara o Dei Genetrix), da non provarne più commozione e stupore. Quando si pensa alla Madre di Dio si tende a “scivolare” verso il piano della nostra esperienza, riducendo così Maria alla mamma carnale di Gesù Bambino e null’altro.

Il riconoscimento di Maria come Deipara nasce invece proprio in contrasto con questo riduzionismo: non per negare il piano naturale di tale maternità, ma per indicare che tale livello ne schiude un altro più elevato e grandioso. A quanti, per tutelare la maestà e trascendenza divine, intendevano ridurre la gloria della Madre, la Chiesa ha risposto una volta per tutte che è il riconoscimento della straordinaria grandezza della Madre, elevata al di sopra di ogni creatura, a difendere il mistero di Dio. Non fu negando, ma affermando il titolo Theotokos, che la verità delle due nature nell’unica Persona divina del Verbo veniva difesa.

L’eminente dignità della Maternità divina è dogma da far venire il capogiro: Maria, infatti, per tale maternità entra in una relazione unica col Verbo di Dio fatto carne, con la Persona divina e increata del Verbo incarnato: Ella non è infatti Madre della mera natura umana di Cristo, ma di quell’unica Persona divina che tale natura ha assunto. Qui tocchiamo un punto importantissimo: se è vero, come è vero, che la Maternità divina riguarda il Cristo “completo”, nella Sua personalità divina, allora la Divina Maternità è di ordine ipostatico o come diceva il Cardinale Gaetano, «ella giunge ai confini della divinità». Ciò non significa che Maria abbia un’unione ipostatica con Dio - il che sarebbe una grave eresia -, ma che essa è stata predestinata ad una elevazione più grande di quella della grazia e della gloria; per non parlare poi di quella della natura.

La pienezza della grazia, la Concezione Immacolata, la Verginità perpetua sono i privilegi che fanno da coorte a questa sovreminente elevazione all’ordine ipostatico. Nella Bolla Ineffabilis Deus, nella quale viene proclamato il dogma dell’Immacolata Concezione, il beato Pio IX spiegava appunto che «Dio, fin dal principio e prima di tutti i secoli, scelse e preparò per il suo unico Figlio la Madre nella quale avrebbe dovuto incarnarsi e dalla quale sarebbe nato. Amò di più lei sola che l’universo intero e di un amore tale da riversare in lei, in maniera singolare, le sue compiacenze più grandi. Per questo che, attingendo dai tesori della sua divinità, egli la colmò in modo meraviglioso e in misura maggiore di tutti gli spiriti angelici e di tutti i santi, perché fosse sempre completamente esente da ogni peccato e, tutta bella e perfetta, apparisse in una pienezza di innocenza e di santità tale che non se ne può concepire una più grande dopo quella di Dio e nessun altro pensiero, se non quello di Dio stesso, può comprenderne le grandezza».

Se dunque, da un lato, i grandi privilegi mariani puntano alla Maternità divina, dall’altro quest’ultima schiude nel proprio seno la singola ed unica partecipazione di Maria all’opera della Redenzione. Il suo fiat dato all’Incarnazione del Verbo, principio della nostra Redenzione, racchiude in sé il suo alla partecipazione all’opera redentrice del Figlio, un sì rinnovato istante dopo istante e culminato ai piedi della Croce; così come il Figlio, venendo nel mondo, ha pronunciato il suo “eccomi”, che si estende fino al sacrificio di Sé sul Calvario.

Se dunque la Maternità divina di Maria indica un ingresso nell’ordine ipostatico, un ordine – lo ripetiamo – in qualche modo infinito, secondo solamente all’Unione ipostatica vera e propria, che sorpassa in modo incommensurabile gli ordini della natura, della grazia e della gloria, così la sua partecipazione all’opera redentiva del Figlio non può non essere concepita nello stesso ordine. E se i decreti divini hanno stabilito come necessaria la Maternità divina per l’Incarnazione del Figlio, perché stupirsi se gli stessi decreti hanno voluto come necessaria, per l’opera della Redenzione, la presenza di una Corredentrice?

Il mistero della Madre di Dio non potrà mai essere adeguatamente compreso da noi uomini: la conoscenza più adeguata è quella che più si avvicina all’ineffabile verità, come un limite tendente all’infinito; e, analogamente, la più inadeguata è quella che vorrebbe negare la sovreminente elevazione della Vergine di Nazareth, riducendo Maria ad una “donna feriale” molto virtuosa, insistendo sulle sue virtù al punto da tacere o addirittura respingere la sua unicità nel piano dell’Incarnazione e della Redenzione.

Il dogma della Madre di Dio, meno inadeguatamente inteso, spinge allora il fedele che lo contempla, illuminato dalla fede, a onorare la Madre del Verbo anche con il titolo di Corredentrice. E in questa solennità preghiamo la Sempre Vergine che diradi la caligine che copre i nostri occhi e si degni di rivelarsi presto per quello che è: la Corredentrice dell’umanità.