«Mancano case e lavoro I giovani sono esasperati»
Parla il vescovo di Tripoli: «Ho chiesto aiuto ai musulmani per proteggere le suore».
Trovare un accordo prima del baratro. «La repressione della protesta è stata molto forte e il sangue che qui in Libia scorre nelle strade ostacola una riconciliazione generale e allontana la soluzione dei problemi - racconta il vescovo di Tripoli, Giovanni Martinelli -. In Cirenaica le autorità hanno perso il controllo della situazione, perciò siamo entrati in contatto con la Mezzaluna rossa e altre organizzazioni islamiche per chiedere protezione alle chiese, ai conventi, ai nostri fedeli e alle suore che lavorano negli ospedali». È una domenica di passione, nella cattedrale di Tripoli: il capo della Chiesa libica si è appena alzato dal «tavolo di crisi» con il vicario apostolico di Bengasi e già lo inseguono le mille richieste di una comunità cristiana alle prese con l`onda tragica della contestazione. Negli edifici sacri di Bengasi si sono rifugiati migliaia di immigrati cristiani, soprattutto filippini. «Non li abbandoneremo», promette monsignor Martinelli.
Da testimone in prima linea, la situazione sotto i suoi occhi rischia di precipitare?
«Il pericolo incombe ma ci sono ancora margini per scongiurare il peggio. Basterebbe concedere qualco- sa, rare un passo in più: le due parti possono riconciliarsi se danno prova reciprocamente di disponibilità e tolleranza. Qui la gente non muore di fame e non vuole né guerre civili né conflitti. Più che del pane, questa è la protesta dell'alloggio».
Teme l'assalto alle chiese?
«Nella capitale no. Abbiamo anche il cimitero cristiano ed è un posto protetto: in Tripolitania non c`è l`allarme per le chiese che invece esiste in Cirenaica. La Mezzaluna rossa e altre realtà islamiche con cui collaboriamo ci hanno assicu- rato di vigilare su luoghi cristiani e sulle varie forme di presenza cristiana. Soprattutto a Bengasi ci promettono le garanzie che in questo momento le autorità locali non sono in grado di darci. A Bengasi durante la contestazione ci sono stati furti in chiesa, anche se privi di motivazioni religiose».
Perché una repressione così violenta?
«Anche se il sangue versato rende difficile ritrovare serenità, le autorità possono ancora mostrare buona volontà di fronte alle rivendicazioni. Chi governa deve ritrovare la forza per accontentare la gente, passando anche sopra ai pregiudizi storici di gruppi e aree del Paese. Noi cristiani abbiamo libertà religiosa, i luoghi di culto non sono nostri, ma del governo, però svolgiamo ovunque attività pastorale e sociale. Assistiamo i carcerati e facciamo studiare con le borse di studio i bambini poveri. Durante l`emergenza stiamo rafforzando il nostro impegno a tutto campo».
In Libia finirà come in Egitto?
«I libici sono un popolo pacifico, ma qui tanti giovani sono esasperati perché vedono il benessere intorno e si aspettano che il governo accetti un confronto. C`è una grave insicurezza, non si sa chi abbia il controllo delle città della Cirenaica, dove le autorità ci hanno detto di non poterci assicurare protezione. Da Malta il nunzio ha attivato tutti i possibili canali diplomatici. Cerchiamo di far capire che le suore impegnate negli ospedali (una trentina, per metà italiane, nessuna vuole andarsene e sono tutte mobilitate per soccorrere i feriti negli scontri) operano per il bene di tutti e che i lavoratori. cristiani sono in Libia per realizzare i progetti delle aziende nazionali. C`è ancora la possibilità di evitare il peggio».
Alla luce di quanto sta vedendo, che cosa dovrebbe fare Gheddafi?
«Serve che le autorità intervengano sui prezzi perché la frustrazione dei giovani nasce dalla rivendicazione di diritti e da richieste non rispettate. A una rivolta generazionale simile al nostro Sessantotto si unisce, a causa della difficoltà di trovare casa e di farsi una famiglia, la rabbia dei ragazzi impossibilitati a ottemperare all`obbligo musulmano del matrimonio. In Tripolitania la situazione è tranquilla, ad eccezione di alcuni focolai poco lontano dalla capitale. L'allarme investe soprattutto la Cirenaica, dove monta l'ira. Ormai non si sa chi comandi e l'ostilità a Gheddafi ha radici antiche. Cinque anni fa a Bengasi ci furono attacchi alle chiese e la nostra preoccupazione nei moti di piazza riguarda sia i luoghi sacri, sia i fedeli, sia il personale religioso degli ospedali».
tratto da La Stampa 21 febbraio 2011