«Mai più violenza in nome di Dio»
Papa Francesco, all'incontro interreligioso con lo Sceicco in Azerbajan e con i rappresentanti delle altre religioni è tornato su di un concetto già sottolineato in altre occasioni. «Dio non può essere invocato per interessi di parte e per fini egoistici, non può giustificare alcuna forma di fondamentalismo».
Ieri sera l'aereo papale è atterrato a Roma intorno alle 21 e così si è concluso il sedicesimo viaggio apostolico di Papa Francesco. Dopo la Georgia, ieri è stata la volta dell'Azerbajan, un territorio in cui i cattolici sono davvero poche centinaia, appena lo 0,01% di una popolazione quasi totalmente musulmana. Proprio l'incontro con con lo sceicco dei musulmani del Caucaso nella moschea Heydar Aliyev era il momento più atteso della visita al paese, anche pensando alla controversa situazione del Nagorno-Karabah.
MAI PIU' VIOLENZA IN NOME DI DIO
Papa Francesco, all'incontro interreligioso con lo Sceicco e con i rappresentanti delle altre religioni, è tornato su di un concetto molto importante e già sottolineato in altre occasioni, specialmente in riferimento al terrorismo. «Dio non può essere invocato per interessi di parte e per fini egoistici, non può giustificare alcuna forma di fondamentalismo, imperialismo o colonialismo. Ancora una volta, da questo luogo così significativo, sale il grido accorato: mai più violenza in nome di Dio!».
Da parte sua lo sceicco Allahshukur Pashazadeh, sciita che ha autorità teologica anche sui sunniti, e che non ha mancato di proferire parole di condanna contro l'Isis, ha detto di apprezzare gli sforzi del Papa «nella risoluzione dei conflitti in nome della pace nel mondo». Significativamente ha detto anche di guardare «con attenzione e rispetto le Sue parole di grande leader religioso riguardo l’importanza di una risoluzione pacifica del conflitto di Nagorno Karabakh fra l’Armenia e l’Azerbaigian».
LIBERTA' RELIGIOSA, MA NESSUN SINCRETISMO
«Le religioni», ha detto il Papa, «hanno un grande compito: accompagnare gli uomini in cerca del senso della vita, aiutandoli a comprendere che le limitate capacità dell’essere umano e i beni di questo mondo non devono mai diventare degli assoluti». Quindi, ha sottolineato, le religioni «aiutando a discernere il bene e a metterlo in pratica con le opere, con la preghiera e con la fatica del lavoro interiore, sono chiamate a edificare la cultura dell’incontro e della pace, fatta di pazienza, comprensione, passi umili e concreti. Così si serve la società umana»
Ed «è compito di ogni società civile sostenere la religione, che permette l’ingresso di una luce indispensabile per vivere: per questo è necessario garantirle un’effettiva e autentica libertà».
Il rapporto tra le religioni però non deve essere facilmente attraversato da un «“sincretismo conciliante”, non «un’apertura diplomatica, che dice sì a tutto per evitare i problemi» (Esort. ap. Evangelii gaudium, 251), ma dialogare con gli altri e pregare per tutti: questi», ha detto Francesco, «sono i nostri mezzi per mutare le lance in falci (cfr Is 2,4), per far sorgere amore dove c’è odio e perdono dove c’è offesa, per non stancarci di implorare e percorrere vie di pace».
ARMONIZZARE LE DIFFERENZE
Nel suo incontro con le autorità dell'Azerbajan, in particolare con il presidente Ilham Heydar Aliyev, il Papa non ha fatto cenno diretto alla situazione conflittuale del Nagorno-Karabah, mentre ne ha parlato il presidente. Si tratta, ha specificato, di un territorio «occupato dagli Armeni».
Il Papa da parte sua ha sottolineato lo sforzo di costruire «un’armonia tra le differenze (…) perché mostra che è possibile testimoniare le proprie idee e la propria concezione della vita senza prevaricare i diritti di quanti sono portatori di altre concezioni e visioni. Ogni appartenenza etnica o ideologica, come ogni autentico cammino religioso, non può che escludere atteggiamenti e concezioni che strumentalizzano le proprie convinzioni, la propria identità o il nome di Dio per legittimare intenti di sopraffazione e di dominio».
«Al fine di rendere possibile l’apertura di una fase nuova, aperta a una pace stabile nella regione, rivolgo a tutti l’invito a non lasciare nulla di intentato per giungere ad una soluzione soddisfacente. Sono fiducioso che, con l’aiuto di Dio e mediante la buona volontà delle parti, il Caucaso potrà essere il luogo dove, attraverso il dialogo e il negoziato, le controversie e le divergenze troveranno la loro composizione e il loro superamento, in modo che quest’area, “porta tra l’Oriente e l’Occidente”, secondo la bella immagine usata da san Giovanni Paolo II quando visitò il vostro Paese, divenga anche una porta aperta verso la pace e un esempio a cui guardare per risolvere antichi e nuovi conflitti».