Madre surrogata non vuole più dare il bimbo ad una coppia gay
Una madre surrogata ci ripensa e non vuole più consegnare il bambino alla coppia gay che lo aveva "commissionato".
I personaggi di questa storia vivono tutti in Inghilterra. Lei conosce on line una coppia gay maschile che vuole un bambino tramite l’utero in affitto. Stringono un accordo scritto e poi lei vola a Cipro nel settembre del 2015 per farsi impiantare in utero un embrione, figlio genetico di un membro della coppia e di un’altra donna. Nella primavera del 2016 nasce il bambino sul suolo inglese, ma colei che ha partorito il bambino, insieme a suo marito, non vogliono più consegnare il piccolo alla coppia inglese. Il figlio è giuridicamente figlio di colei che lo ha partorito, dato che l’ordinamento giuridico inglese non riconosce la maternità surrogata.
La coppia omosessuale non ci sta ed inizia una vertenza giudiziaria che si trascina fino ai nostri giorni e nel frattempo il bambino continua a vivere con la donna che ha affittato l’utero. Oggi il piccolo ha 18 mesi. Venerdì scorso la Corte di Appello di Londra si è pronunciata: che il minore sia consegnato alla coppia omosessuale perché è giusto che il bambino cresca con almeno un genitore biologico. Dato che però il piccolo in questo periodo è cresciuto con la donna che lo ha portato in grembo e con suo marito si concede a costoro di vederlo 6 volte in un anno.
Commento di carattere morale. Da questo pasticcio è difficile uscirne però la soluzione meno peggiore potrebbe essere la seguente. Bene che il piccolo cresca con il padre biologico, male che cresca in una coppia omosessuale. Questo secondo aspetto è pregiudiziale rispetto al primo e quindi sarebbe bene dare in affido o in adozione il minore. Se la donna che lo ha portato in grembo dimostra di essere all’altezza, lei potrebbe essere la prima scelta del tribunale. Ma una donna che sceglie di affittare il proprio utero offre garanzie in tal senso?
Questa storia dimostra ancora una volta che l’omosessualità e l’utero in affitto sono rispettivamente una condizione e una pratica intrinsecamente disordinate che, a cascata, portano ad altri disordini morali e sociali.
Qui la sentenza: http://www.bailii.org/ew/cases/EWCA/Civ/2017/1798.html