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FRANCIA

Macron contro Le Pen, battaglia sull'Europa

Francia, è testa a testa fra Marine Le Pen ed Emmanuel Macron. Saranno loro a contendersi la presidenza della Francia al secondo turno. I loro due programmi economici si assomigliano più di quanto si creda. Nessuno dei due pone particolare importanza ai principi non negoziabili. La vera battaglia sarà sull'appartenenza della Francia all'Unione Europea. 

Esteri 24_04_2017
Elezioni Francia

Francia, è testa a testa fra Marine Le Pen ed Emmanuel Macron. Quest'ultimo ha leggero vantaggio: 23,9% dei voti, cioè 2,5 punti in più rispetto alla candidata del Fronte Nazionale. Saranno loro a contendersi la presidenza della Francia al secondo turno. Già questo scontro viene presentato come una battaglia senza esclusione di colpi fra europeisti e anti-europeisti. A voler ben vedere, la scelta europea è l’unica questione che distingue nettamente i due candidati, i cui programmi economici sono entrambi caratterizzati da una forte impronta statalista.

Emmanuel Macron, classe 1977, è il più giovane fra i candidati francesi. Ex ministro dell’Economia nel governo socialista Valls (il secondo, quello in carica dal 2014 al 2016), Macron ha fondato il movimento En Marche per distinguersi da un partito Socialista sempre più in crisi e spinto su posizioni massimaliste dalla candidatura di Hamon. La candidatura indipendente di Macron viene descritta, infatti, come “centrista”, talvolta come “liberal-socialista” o anche come “liberale progressista”. In realtà, il suo programma non può essere definito altrimenti che socialista (non massimalista, ma sempre socialista): vuole preservare l’età pensionabile così come è adesso, fondare la crescita su massicci investimenti statali (50 miliardi di euro) nei settori chiave dell’economia, puntare sulla riqualificazione e formazione dei lavoratori, raggiungere la piena parità salariale di genere, reinvestire nella sanità pubblica e nella scuola pubblica, informatizzare la burocrazia, alleggerire il fardello fiscale sulle piccole imprese, tagliare le tasse sul lavoro. Quanto alla sicurezza, tema più scottante che mai in una Francia sotto l’attacco dei terroristi, Macron vuole assumere più poliziotti (10.000), istituire il poliziotto di quartiere, aumentare i posti nelle carceri, sopprimere la predicazione all’odio jihadista. E’ l’europeismo che distingue il candidato, con una proposta di creare una difesa comune, a partire da un accordo tra Francia e Germania. Anche l’immigrazione dovrebbe essere, a suo avviso, gestita il più possibile a livello europeo. Fiore all’occhiello: potenziare i programmi Erasmus per favorire l’interscambio di giovani. Non manca uno spunto di populismo: fra gli ultimi punti del programma c’è anche la “moralizzazione” della classe politica, con una serie di regole volte a impedire conflitti di interesse e nepotismi.

Marine Le Pen, classe 1968, è figlia d’arte (il padre è il celeberrimo Jean Marie Le Pen, fondatore del Fronte Nazionale) ma in questa competizione è la più matura ed esperta dei due contendenti. Viene guardata con orrore da tutti i governi europei e benissimo dalla Russia di Putin, che ha investito decine di milioni di euro sulla sua campagna elettorale. La sua affermazione al primo turno ha già provocato scontri in piazza in Francia, alimentati dagli “anti-fascisti”. Il programma della Le Pen, comunque, non può in alcun modo essere descritto come fascista. Semmai riprende tutti i temi chiave del vecchio gollismo. Il programma economico e sociale è statalista quanto quello del suo avversario di sinistra: vuole preservare l’età pensionabile così come è adesso, fondare la crescita su massicci investimenti statali (50 miliardi di euro) nei settori chiave dell’economia francese (sottolineando il fatto che sia francese e non straniera), puntare sulla riqualificazione e formazione dei lavoratori, reinvestire nella sanità pubblica e nella scuola pubblica, alleggerire il fardello fiscale sulle piccole imprese francesi, tagliare le tasse sul lavoro. Purché sia lavoro francese: il costo del lavoro straniero sarebbe invece disincentivato con forme più o meno spinte di protezionismo. La visione dell’economia della Le Pen è dunque la versione nazionale del socialismo di Macron, sostanzialmente molto simile, ma l’opposto quanto a retorica. Anche il piano sulla sicurezza è quasi identico a quello di Macron, salvo che i poliziotti da assumere sarebbero 15mila invece che 10mila. E non mancano spunti analoghi del populismo: moralizzazione della politica e potenziamento della democrazia diretta (con l’introduzione del referendum propositivo). E’ l’anti-europeismo, appunto, che fa la differenza. La prima parte del programma della Le Pen riguarda l’indizione di un referendum sull’uscita della Francia dall’Ue. Referendum o no, la Le Pen è determinata a uscire dall’area Schengen, ripristinare i controlli alle frontiere, stabilire un tetto massimo sull’immigrazione pari a 10mila persone all’anno. Cambierebbe anche il rapporto con la Nato: la Le Pen (come De Gaulle a suo tempo e tutti i successori fino a Sarkozy), vorrebbe ritirare di nuovo la Francia dalla struttura del comando integrato dell’Alleanza. Ed è quest’ultimo punto, soprattutto, che attira l’attenzione della Russia, che spera in una nuova “Entente Cordiale” con Parigi.

Non è sbagliato affermare, dunque, che la vera battaglia sarà sull’Europa, sul rapporto fra la Francia e l’Ue, fra “globalisti e patrioti” come ha dichiarato tempo fa la stessa Le Pen. Sarebbe meno corretto descrivere il prossimo scontro come una battaglia sui valori, invece. Perché sui principi non negoziabili, entrambe le parti dicono poco o nulla. Solo nel programma della Le Pen si può trovare qualcosa a sostegno della famiglia naturale. In una Francia, comunque, che non presenta particolari problemi di natalità, anche grazie a un sistema fiscale (quoziente familiare) che favorisce la natalità più che in altri paesi europei.

Impossibile lanciarsi in previsioni sul secondo turno. Anche se è scontato il “blocco repubblicano” a sostegno di Macron (candidato istituzionale) contro la Le Pen (candidata anti-sistema), non è affatto scontata la reazione dell’opinione pubblica. I Repubblicani potranno anche dare l’appoggio alla candidatura del centrista Macron. Quel 20% di francesi che ha votato il candidato repubblicano François Fillon (cattolico e sostenuto dalla Manif pour Tous) si turerebbe il naso sul laicismo di Macron, che è e resta socialista su tutta la linea? Quell’altro 19% che ha votato il post-comunista Jean Luc Mélenchon, si turerebbe il naso per votare il “liberal socialista” Macron, ex banchiere d'affari presso Rothschild, solo per fermare la “fascista” Le Pen? Dove andrà realmente il voto operaio? Ci saranno sorprese. Una sola cosa è certa: dopo cinque anni di presidenza Hollande, il Partito Socialista è stato distrutto. E’ il suo minimo storico: 6,4%. Hamon ha concesso la sconfitta, ammesso la sua responsabilità, invitato a votare per Macron. Per quel che può contare la sua piccola pattuglia.