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IL BELLO DELLA LITURGIA

L'umanità di Maria piena di Dio in un capolavoro

L’Annunciazione di Simone Martini, capolavoro del maestro senese e della pittura gotica, si ammira alla Galleria degli Uffizi: l’umanità della giovane è in quel gesto di spavento, per cui indietreggia ma con lo sguardo fisso sul misterioso visitatore, colta di sorpresa mentre è forse immersa nelle pagine della Bibbia in cui si presagiva l’imminente evento.

Cultura 27_03_2021

Simone Martini e Lippo Memmi, Annunciazione, Firenze – Galleria degli Uffizi

Il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi” (Gv 1, 14)

Ansano è il protettore di Siena che, colonia romana, agli albori del IV secolo fu evangelizzata dal santo, andato giovanissimo incontro al martirio per la sua fede in Cristo. Mille anni più tardi gli fu dedicato un altare nel braccio sinistro del transetto del nuovo Duomo della città, per il quale nel 1333 fu commissionato uno dei primi dipinti, dal tema evidentemente mariano essendo la Cattedrale dedicata alla Vergine Assunta: l’Annunciazione di Simone Martini, che qui si avvalse della collaborazione del cognato Lippo Memmi; alla fine del millecinquecento fu sostituita in loco da una pala più aderente ai dettami stilistici della Controriforma. Quello che è considerato il capolavoro del maestro senese, e forse di tutta la pittura gotica italiana - se non europea - si ammira ora alla Galleria degli Uffizi di cui è, senz’altro, una delle opere più iconiche.

Si tratta, innanzitutto, di un trittico organizzato all’interno di un’elaborata cornice, anch’essa rinnovata in tempi moderni. Ansano, da un lato, e Massima (da alcuni identificata in Margherita), dall’altro, non solo sono testimoni dell’Avvenimento che si compie nel pannello centrale, ma fungono da intermediari che diffondono al mondo l’annuncio di quel fatto straordinario per il quale, entrambi, diedero la vita. Evento che era già stato profetizzato, nel Vecchio Testamento, da Geremia, Ezechiele, Isaia e Daniele, i quali, infatti, fanno capolino dai tondi del registro superiore, reggenti cartigli che riferiscono le loro parole allusive al mistero dell’Incarnazione.

In posizione centrale e sopraelevata, probabilmente, c’era, in origine, il Padre Eterno, in asse con la colomba dello Spirito Santo, che qui ci appare circondata da cherubini. Da cotanta sorgente, dunque, scaturisce l’annuncio di cui la creatura celeste in primo piano è semplice latore: Gabriele, elegantissimo con il suo manto di tessuto scozzese, i cui lembi ancora fluttuanti nell’aria rivelano l’incipiente arrivo, reca tra le mani un ramo di ulivo, in segno di pace. Custoditi in un vaso prezioso, collocato in profondità, ci sono anche i gigli, simbolo per eccellenza della purezza della Vergine e segno della presenza del Figlio di Dio che in questo istante si fa carne nel grembo della Madre.

Proferisce delle parole, l’arcangelo, che attraversano lo spazio della tavola scolpite nell’oro della pittura, e raggiungono Maria come fossero un raggio di luce: “Ave Gratia Plena Dominus Tecum”. L’umanità della giovane donna è tutta in quel gesto di ritrosia e di spavento che la porta a coprirsi il viso col mantello, indietreggiando lievemente con le spalle pur mantenendo lo sguardo fisso in quello del misterioso visitatore. È stata colta di sorpresa mentre era immersa nella lettura del libro che tiene ancora nella mano sinistra: le Sacre Scritture, probabilmente, e forse proprio le pagine in cui si presagiva l’imminente evento.

L’oro uniformemente diffuso su tutta la superficie accentua la sacralità dell’atmosfera in cui si muovono i protagonisti, descritti con linee sinuose come richiesto dallo stilema gotico. Diafano sembra l’angelo, con la sua veste bianca e i tratti del viso delicati. È da lui che sembra irradiarsi tutto questo splendore. Che raggiunge e avvolge Maria, incorniciata dal blu profondo del suo manto e seduta su uno scranno prezioso: è una Regina, ora, perché futura Madre del Re.