L'Ucraina vota per una svolta a Ovest
Terremoto elettorale in Ucraina. Stravincono le due coalizioni filo-occidentali: il Blocco Poroshenko e il Fronte Popolare del premier Yatsenyuk. Spariscono i comunisti. I nazionalisti sono fuori dal parlamento. E la Tymoshenko, simbolo delle due rivoluzioni europeiste, a mala pena, supera lo sbarramento.
Le elezioni parlamentari in Ucraina hanno dato una chiara e indiscutibile vittoria al fronte pro-europeo e liberale. Più ancora che all’epoca della Rivoluzione Arancione (2004) e delle ultime elezioni presidenziali (25 maggio 2014), l’opinione pubblica ucraina ha virato decisamente a Ovest.
Il nuovo blocco elettorale del presidente Petro Poroshenko ha ottenuto il 21% dei voti, testa a testa con il Fronte Popolare dell’attuale premier ad interim Arseny Yatsenyuk. In entrambi i casi si tratta di una conferma. Il presidente, eletto lo scorso maggio, ha ora la sua ambita base parlamentare che può legittimarlo anche nella Rada (il parlamento ucraino) e votare a favore delle sue politiche. Consacrazione alle urne anche per Arseny Yatsenyuk, che è premier non eletto da otto mesi e ora, alla prova del voto, ha dimostrato di poter conquistare la maggioranza relativa.
Le sorprese arrivano dopo i primi due partiti: al terzo posto si è infatti piazzato il partito liberale Samopomich, con l’11%. Guidato da Andriy Sadovyi, il sindaco di Lviv, nell’estremo occidente ucraino, ha un programma fortemente europeista. L’altra sorpresa (relativa) è invece il collasso dell’ex formazione di maggioranza, il Partito delle Regioni: coalizzato con altre formazioni pro-russe nel Blocco delle Opposizioni, è finito quarto, con meno del 10% dei voti. E subito alle sue spalle, a tallonarlo, si piazza il Partito Radicale, con il 7,5% dei voti, anch’esso fortemente occidentalista, favorevole all’ingresso dell’Ucraina nella Nato e nell’Ue. I nazionalisti, sia quelli di Svoboda che quelli di Pravy Sektor, sono fuori dal parlamento, non avendo passato la soglia di sbarramento del 5%. Dormano sonni tranquilli coloro che, in Occidente, temevano una deriva “nazista” della rivoluzione del Maidan. Ma il risultato veramente storico è la sconfitta del Partito Comunista che, per la prima volta dal 1991 (dall’anno dell’indipendenza dell’Ucraina), non riesce ad entrare nella Rada.
Notevole anche il calo di consensi al partito Batkivshchyna (Patria) di Yulia Tymoshenko, che ha, a mala pena, superato la soglia di sbarramento del 5%: un quinto dei voti rispetto alle elezioni parlamentari precedenti. È un risultato che conferma lo stesso trend delle ultime elezioni presidenziali. La leader indiscussa della Rivoluzione Arancione, nonché simbolo di resistenza umana nel suo periodo di detenzione, è stata a lungo lontana dal Paese, in cura, in Germania. In sua assenza il partito che guida non ha avuto la stessa forza degli anni scorsi. È anche un segnale chiaro, lanciato dall'opinione pubblica ucraina, stanca dell'ormai vecchia politica dei partiti "arancioni", nati dalla Rivoluzione del 2004. A rappresentare quella politica e quegli ideali europeisti e riformatori, adesso, c'è Yatsenyuk, già ministro dell'Economia e poi degli Esteri nei due governi Tymoshenko. Ora è il suo erede diretto.
In Ucraina non si sono svolte elezioni qualsiasi. Il Paese è ancora in guerra. La tregua pre-elettorale, concordata da Kiev e Mosca, regge a malapena dal 5 settembre scorso, ma viene quotidianamente violata da combattimenti nei dintorni di Donetsk. Nei giorni del voto, la base militare ucraina di Avdiivka è stata bombardata dai guerriglieri pro-russi. È stata una delle tante rotture del cessate il fuoco: su circa 4000 morti dall’inizio del conflitto (lo scorso aprile), ben 300, civili e militari, sono stati provocati dai combattimenti nel corso di questa “tregua”. A causa di questa situazione di conflitto non dichiarato, le elezioni parlamentari sono state monitorate da 900 osservatori internazionali provenienti da 43 Paesi. Il capo della missione Osce, il deputato svedese Kent Harstedt, ha espresso preoccupazione per i combattimenti nella regione di Donetsk, ma ha comunque dichiarato che le istituzioni ucraine abbiano «risposto a sfide gravissime con elezioni che hanno rispettato ampiamente gli standard democratici».
La Rada, eletta con questo voto, è incompleta. La Crimea, annessa de facto dalla Russia nel marzo scorso, non ha votato. I suoi 12 seggi sono dunque rimasti vacanti. Si è invece votato in tutte le regioni orientali, tranne che nel Donbass, teatro della guerra attuale, dove si sono recati alle urne i cittadini di 15 circoscrizioni su 32. Gli altri 17, occupati dai pro-russi, sono rimasti chiusi. In totale, comunque, sono 27 i seggi vacanti su un totale di 450. Quindi la Rada emersa da queste elezioni è rappresentativa di un Paese tutt’altro che “diviso a metà”, come appariva prima del voto. Mediamente l’affluenza è stata del 52%, più alta nelle regioni centrali e occidentali, più bassa in quelle orientali. Il voto pro-russo non si vede, neppure a Odessa e Kharkiv, considerate altre due roccaforti delle forze anti-Kiev. Il dissenso, in questi casi, si è espresso con l’astensione, non con il voto all’ex Partito delle Regioni (attuale Blocco delle Opposizioni).
Paradossalmente, la guerra ha riunificato il Paese e lo ha spinto su posizioni decisamente pro-europee, come mai in passato. Ora bisogna vedere come Yatsenyuk e Poroshenko, i due indiscussi vincitori, useranno questo capitale elettorale. E soprattutto quali saranno gli stimoli esterni. Il presidente della Commissione Europea, José Manuel Barroso, ha accolto i risultati a braccia aperte, definendoli una «vittoria della democrazia». Adesso, quindi, è ancor più probabile che apra il (nostro) portafogli per aiutare un Paese che è al collasso economico: per la fine dell’anno è prevista una contrazione del Pil dal 7 al 9%. Dalla Russia, il commento del ministro degli Esteri Lavrov suona più come un’esortazione: «È importante per noi che l’Ucraina abbia finalmente delle autorità che non combattano le une con le altre, che non trascinino l’Ucraina a Ovest o a Est, ma che si impegnino a risolvere i veri problemi che il Paese sta fronteggiando».
Dei due vincitori, Yatsenyuk non si è mai mostrato incline ai compromessi con Mosca e si dice pronto a risolvere la guerriglia nel Donbass con le armi. Poroshenko, invece, sta facendo la spola fra Ginevra, Minsk, Milano, per raggiungere un accordo con la Russia. Dei due approcci è più probabile che prevalga il secondo. Se non altro perché a Kiev manca la forza militare necessaria a riconquistare il Donbass, come la guerra ha dimostrato finora. Ora che c’è una base parlamentare solida, può prendere il via un programma che ponga fine al conflitto con mezzi diplomatici e adegui l’Ucraina agli standard europei, in vista di una possibile candidatura all’ingresso nell’Ue. Ora c’è questa possibilità. Prima non c’era.