L'omelia del cardinale Vingt-Trois sul terrorismo
“In che cosa il nostro stile di vita ha potuto provocare un’aggressione così barbara? A questa domanda noi rispondiamo spesso con l’affermazione del nostro attaccamento ai valori della Repubblica, ma gli avvenimenti ci obbligano a interrogarci e forse a esaminare ciò che realmente mettiamo sotto il titolo ‘valori della Repubblica”.
“In che cosa il nostro stile di vita ha potuto provocare un’aggressione così barbara? A questa domanda noi rispondiamo spesso con l’affermazione del nostro attaccamento ai valori della Repubblica, ma gli avvenimenti ci obbligano a interrogarci e forse a esaminare ciò che realmente mettiamo sotto il titolo ‘valori della Repubblica”. E' uno dei quesiti che ha posto il cardinale André Vingt-Trois, arcivescovo di Parigi, nell'omelia tenuta domenica pomeriggio nella cattedrale di Notre Dame per pregare per le vittime degli attentati che venerdì scorso hanno scosso la capitale della Francia e il mondo intero.
“Come è possibile”, ha incalzato il cardinale, “che giovani formati nelle nostre scuole e nelle nostre città possono conoscere un disagio tale che il fantasma del califfato e la sua violenza morale e sociale possano rappresentare un ideale per cui dare la vita?” Si tratta di domande pesanti, urgenti per chi osserva una realtà che, come ha ricordato il Papa all'Angelus, mostra una tragedia che non ha nulla di umano. “L'odio e la morte”, ha detto Vingt-Trois, non hanno alcuna “razionalità” e ci interrogano: “a chi rivolgersi in questa prova?”
“Coloro che credono in Cristo sono chiamati a testimoniare la speranza per sé e per tutti quelli che cercano sostegno e sollievo.” Questa speranza produce, per chi vuole viverla e testimoniarla, ad un preciso “modo di vita”, quello che si “rifiuta di piegarsi” alla barbarie e non rinuncia alla “fiducia e alla serenità” anche se difficili, “a volte eroiche.” Per i fedeli si tratta, in ultima analisi, “della fede in Dio e della nostra capacità di affidarci a Lui”, ma per tutti gli uomini di buona volontà ciò significa riconoscere “il valore unico di ogni esistenza umana e della libertà”. Qualcosa che la tragedia parigina ha calpestato in ogni senso.
Dalla lettura del Vangelo di Marco che ieri abbiamo sentito in tutte le chiese cattoliche l'arcivescovo di Parigi ricava due importanti insegnamenti. “Innanzitutto, nessuno conosce il giorno e l'ora della fine del tempo. Solo il Padre lo conosce. Sappiamo anche che non conosciamo né il giorno né l'ora della nostra fine e che questa ignoranza tormenta molte persone. Ma noi tutti vediamo, - e l'evento di questa settimana ce lo ricorda crudelmente - che il lavoro della morte non si ferma mai e colpisce, a volte in modo cieco.”
“Poi”, ha proseguito il cardinale, ci ricorda che “eventi drammatici o terrificanti della storia umana possono essere interpretati e compresi come segni indirizzati a tutti. "Quando vedrete accadere queste cose, sappiate che il Figlio dell'uomo è vicino, è alle porte (Mc 13,29).” Questa capacità di interpretare la storia non è un modo di negare la realtà. E' un modo per scoprire che la storia ha un senso. Racconta chi bussa alla nostra porta, in ciascuna delle nostre porte. Quel qualcuno è Cristo”.
“Quindi”, ha concluso, “non possiamo fermarci davanti alle disgrazie della vita, né alle sofferenze che noi sopportiamo” come se non avessero senso. “Attraverso queste, possiamo scoprire che Dio bussa alla nostra porta e vuole chiamarci ancora alla vita, per aprirci il cammino della vita”. Sapremo leggere i segni dei tempi? Questa è la vera domanda davanti a cui siamo posti dalla tragedia di Parigi, una domanda che non può avere risposta nella sterile rivendicazione di una civiltà occidentale che mostra spudoratamente le sue debolezze.
La risposta, in un certo senso, l'ha fornita Papa Francesco nella sua omelia di ieri nella consueta Messa del mattino a S. Marta. "Mi ha sempre colpito che il Signore, nell’Ultima Cena, in quella lunga preghiera, pregasse per l’unità dei suoi e chiedesse al Padre che li liberasse da ogni spirito del mondo, da ogni mondanità, perché la mondanità distrugge l’identità; la mondanità porta al pensiero unico".
"Questo, di questi tempi, ci deve far pensare: com’è la mia identità?”, ha chiesto il Papa. “È cristiana o mondana? O mi dico cristiano perché da bambino sono stato battezzato o sono nato in un Paese cristiano, dove tutti sono cristiani? La mondanità che entra lentamente, cresce, si giustifica e contagia: cresce come quella radice, si giustifica – “ma, facciamo come tutta la gente, non siamo tanto differenti” -, cerca sempre una giustificazione, e alla fine contagia, e tanti mali vengono da lì». Un'autentica lettura dei segni dei tempi, di fronte alla barbarie del venerdì nero di Parigi, può sorgere solo da un'identità purificata da una mondanità che “mette all'asta la nostra carta d'identità”.