L'offensiva di Haftar in Libia non è una minaccia per noi
Riprende la guerra civile in Libia, con una vigorosa offensiva del generale Haftar contro Tripoli, capitale del governo di al Sarraj. Non sarà una marcia trionfale, perché già si combatte duramente nelle periferie della città. Ed è probabile una soluzione negoziale. Gli interessi italiani sono minacciati? Non da Haftar, nemico di jihadisti e scafisti.
Non ha avuto esiti positivi la richiesta del Consiglio di sicurezza dell'Onu alle forze del generale Khalifa Haftar di fermare l'avanzata verso la captale. Da mercoledì scorso l’Esercito Nazionale Libico (ENL) guidato dal feldmaresciallo che controlla la Cirenaica, e ha conquistato in febbraio il meridione libico, ha lanciato un'offensiva in Tripolitania con l'obiettivo dichiarato di "liberare Tripoli dal terrorismo".
Offensiva che è continuata nelle ultime 24 ore con alterne vicende. Le avanguardie di Haftar sono state respinte venerdì a sud di Tripoli e ieri hanno subito attacchi aerei da parte dei Mig decollati da Misurata. L’aviazione di Haftar ha invece decretato una “no-fly zone” su tutto l’ovest del paese: "qualsiasi aereo militare in questa regione sarà considerato un obbiettivo nemico e l'aeroporto da cui è decollato sarà bombardato", afferma su Facebook il portavoce dell'ENL, Ahmed Mismari. I jet di Misurata, che per ora sostengono il governo di Tripoli di Fatez al-Sarraj e sono tradizionali avversari di Haftar, cercano di colpire le truppe di Haftar e le loro retrovie logistiche - anche se molti analisti attribuiscono alle forze di Haftar una superiorità aerea garantita non solo dai vecchi Mig 21 e Mig 23, che facevano parte dell’aeronautica di Gheddafi, ma anche di elicotteri e aerei da attacco al suolo gestiti da contractors al soldo degli Emirati Arabi Uniti, grandi sponsor militari di Haftar.
Sul campo di battaglia si sono registrati scontri tra ELN e le milizie islamiste che difendono Tripoli all’aeroporto Mitiga e ad Ain Zara, ad appena 12 chilometri a sud-est dal centro. L’ELN rivendica inoltre di aver assunto il controllo della “Porta 27”, a ovest di Tripoli. Salvo defezioni tra le forze che sostengono al-Sarraj (ma sarebbe meglio dire che osteggiano Haftar) la capitale è ben difesa da diverse milizie, incluse le potenti forze di Misurata e altre per lo più di ispirazione salafita o vicine alla Fratellanza Musulmana che godono del supporto di Turchia e Qatar, acerrimi nemici degli sponsor emiratini ed egiziani di Haftar. Milizie, spesso in contrasto tra loro, che non hanno mai permesso al premier di Tripoli nominato dall’Onu, Fayez al-Sarraj, di avere il pieno controllo della Tripolitania ma che si sono recentemente rinsaldate tra loro per fermare Haftar varando l’operazione “Uadi Doum 2”. Un nome che ha il sapore della beffa per il generale Haftar, perchè a Uadi Doum, in Ciad, le truppe di Gheddafi da lui guidate vennero sgominate da francesi e ciadiani nel febbraio 1986.
Difficile per questo ritenere che Haftar possa entrare trionfalmente a Tripoli in breve tempo; più probabile che il generale punti invece ad avvicinarsi alla capitale per negoziare da una posizione di forza ai colloqui per la stabilizzazione della Libia previsti a Ghadames e mediati dalle Nazioni Unite. Haftar gode del supporto dei militari libici e controlla oggi i due terzi del paese grazie anche al fatto che ampie fasce della popolazione vedono in lui l’unico leader in grado di stabilizzare e riportare alla normalità l’ex colonia italiana. Gli abitanti della Tripolitania, stremati da otto anni di criminalità dilagante, impoverimento e anarchia imposta dalle inconcludenti milizie “rivoluzionarie” potrebbe oggi guardare con speranza ad Haftar anche perchè nelle aree sotto il suo controllo, come la Cirenaica, la situazione è tranquilla e dalle sue coste non salpano barconi o gommoni diretti in Italia.
Come sempre accade in Italia la crisi libica costituisce soprattutto un pretesto per polemiche interne e a sinistra in molti criticano il governo per non essersi schierato con Haftar. Eppure non esiste certo da oggi la posizione di equilibrio dell’Italia, fatta di aperture ad Haftar e dalla necessità di sostenere pragmaticamente al-Sarraj, perché è il leader “creato” dalle Nazioni Unite e perché proprio in Tripolitania sono in gioco i nostri prioritari interessi nazionali: a Melitha c’è il terminal del gasdotto Green Stream dell’ENI e dalle coste della regione i trafficanti continuano a far salpare barconi e gommoni.
In ogni caso anche una eventuale vittoria del generale a Tripoli non rappresenta necessariamente una minaccia per gli interessi italiani. In fondo Haftar è il più acerrimo nemico di jihadisti e trafficanti, ha da tempo rinunciato a posizioni anti-italiane e nessuno su quella che un tempo era la nostra “quarta sponda” può ipotizzare che la “nuova Libia” possa nascere contare sulla stretta cooperazione con Roma.
Risulta invece strumentale e un po’ patetica l’interpretazione della crisi libici elaborata dagli “immigrazionisti” che non si avventurano in analisi politiche e strategiche, ma vedono nella battaglia per Tripoli l’ennesimo pretesto per chiedere a gran voce la riapertura dei porti italiani agli immigrati illegali. Costretti a tifare per Haftar nella speranza di riaprire il lucroso business che in questi anni ha arricchito i trafficanti tanto quanto le organizzazioni dedite a soccorsi e accoglienza.