L'odio del mondo si scatena contro chi segue la semplicità della Tradizione
Dopo la triste vicenda della pubblicazione su un quotidiano di presunti brani di conversazione "rubati" durante un viaggio in treno, monsignor Negri con questa lettera intende condividere con gli amici della Nuova BQ alcune riflessioni che sono maturate nel suo cuore.
Carissimo direttore,
ti ringrazio per l’ospitalità che mi concedi su “La Nuova Bussola Quotidiana”, strumento sempre più efficace per l’approfondimento e la difesa dell’identità cristiana e per la sua azione missionaria nella vita di questo mondo di cui tutti sembrano così contenti, ma nei confronti dei quali io ho gravissime preoccupazioni.
Raccolgo qualche osservazione che si è formulata nel mio cuore nelle ben tristi vicende in cui sono stato coinvolto soprattutto ripercorrendo quegli oltre duemila messaggi che ho ricevuto in questi giorni da tante generazioni con cui ho vissuto, compresi quelli di tanti fratelli nell’episcopato e di tanta realtà ecclesiale delle due Diocesi che ho guidato.
Raccolgo alcune di queste testimonianze:
Da una coppia di ex studenti
“Reverendissimo Monsignore,
Mi rivolgo a te così per la stima e il rispetto che ho verso la carica che ricopri nella santa Chiesa di Dio, ma l’antica e bella amicizia mi spinge a darti ancora del tu.
Non voglio spendere troppe parole di sdegno per quello che è accaduto, mi associo alle tue. Mi preme di più condividere con te il dolore per il subdolo odio alla Chiesa. Ma contemporaneamente desidero raggiungerti con l’espressione di un sentimento di gratitudine e di certezza: ciò che il Signore ha costruito nella nostra storia è grande.
La bellezza che ci ha manifestato, l’unità a cui ci ha chiamato, la libertà che ci ha insegnato, la carnalità della Sua presenza che ci ha donato attraverso don Giussani e la vita del movimento, l’amore a Lui e alla sua Chiesa con cui continuamente ci alimenta, sono una roccia: non crollano con la tempesta né con le meschinità altrui. “La gloria di Dio è l’uomo vivente”.
È a questa grazia che ho pensato subito dopo lo sgomento, e non volevo perdere l’occasione per ringraziarti, per la traccia di bene che hai lasciato nella mia vita e per la continua testimonianza. Il Signore ci sta chiamando ad una dura fedeltà: che ci sostenga e ci perdoni”.
Da un confratello nell’episcopato
“Eccellenza Carissima
non riuscendo a contattarti direttamente mi permetto di inviarti questo messaggio:
ti confermo nella stima e nell’affetto che certamente sono cresciuti con le vicende che toccano da vicino chi ama la Chiesa. Credo che abbiano sbagliato persona. Ti sento così unito al Santo Padre che credo nella totale tua estraneità a mentalità che demoliscano e vorrebbero guerre all’interno della Chiesa che amiamo.
Un abbraccio pieno di affetto e di stima”.
Servire la persona di Cristo nella Chiesa e tentare di diffonderne la presenza nel mondo, facendo nascere nel cuore di tanti uomini e donne il desiderio dell’incontro con Lui e, dopo questo incontro, il desiderio di camminare sui Suoi passi per il conseguimento in noi della vita nuova che il Signore offre a quanti credono: questa è stata l’unica preoccupazione di tutta la mia vita, nel movimento e nella Chiesa.
Era già un onore servire e non ho mai cercato altro che questo, come mi insegnò, con la sua grande testimonianza di pastore, l’Arcivescovo che mi ha ordinato, il Cardinale Giovanni Colombo, per cui l’unico onore consisteva nel vivere fino in fondo la responsabilità che la Chiesa e la nostra coscienza ci affida.
Queste due testimonianze, di due giovanissimi studenti di allora e di un mio confratello vescovo, così diverso da me come storia e come temperamento, mi sembrano essere due punti che chiariscono che i miei intendimenti erano veri e restano veri, e si pongono nel mondo in modo inequivoco.
Ciò che ho compreso in queste settimane è che davvero si può essere chiamati a partecipare in modo particolarissimo alle sofferenze del Signore, come tanta spiritualità cristiana - cominciando da San Paolo - ha sottolineato e di cui ha dato grande testimonianza.
Si può soffrire con Cristo e si può patire per Cristo e così, nonostante l’evidente reattività che accompagna l’uomo, nonostante la sofferenza che si subisce, prevale quest’ultima letizia di chi, soffrendo per Cristo, partecipa in modo singolare - e per fortuna momentaneo - alla sua passione.
Questo è ben espresso in un brano di un intervento di don Giussani del 1992, fattomi pervenire da un amico sacerdote, che dice: «L'ira del mondo oggi non si alza dinanzi alla parola della Chiesa, sta quieta anche di fronte all’idea che uno si definisca cattolico, o dinanzi alla figura del Papa dipinto come autorità morale, anzi vi è un ossequio formale, addirittura sincero. L’odio si scatena, a mala pena contenuto ma presto tracimerà, dinanzi a cattolici che si pongano per tali, cattolici che si muovono nella semplicità della Tradizione».
La grande capacità profetica che è propria dei grandi uomini spirituali mi ha definitivamente riconciliato con il Signore e anche con coloro che sono entrati in questa storia, bene moltissimi, male pochissimi. È inutile attardarsi a descrivere reazioni o ad esprimere sconcerto per atteggiamenti che non ho potuto e non posso condividere, meglio riconsegnare tutto al Signore con la certezza che, comunque, attraverso queste vicende, mi ha chiamato a fare un passo ancora più vero dietro di Lui, e di fronte al mondo.
* Arcivescovo di Ferrara-Comacchio e Abate di Pomposa