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CASO MALIKA

Lo Zan e l'arte della manipolazione della notizia

Il caso di Malika, la ragazza cacciata di casa perché lesbica, è stato usato per promuovere il ddl Zan che punisce l'omofobia, ma omettendo il fatto che il caso nasce in una famiglia islamica. In realtà è qui il vero problema e paradossalmente Malika è privilegiata perché migliaia sono le donne islamiche vittime in Italia di violenze nella loro stessa famiglia, di cui politica e star system non si interessano.

Editoriali 17_04_2021
Malika

Da diversi giorni si parla molto di Malika Chalhy, la 22enne di Castelfiorentino (comune nelle vicinanze di Firenze) cacciata di casa dopo aver rivelato di avere una relazione omosessuale. Un caso che capita a proposito per spingere la causa del ddl Zan sull’omofobia, che dovrebbe essere discusso in Senato dopo essere già stato approvato alla Camera. Il caso, all’apparenza, è perfetto: una giovane che confessa un amore lesbico, discriminata e ripudiata dalla propria famiglia, minacciata di violenza, cacciata in strada. Ecco dimostrato che ci vuole la legge Zan. Uno schema classico: il caso pietoso che assurge a emergenza nazionale, la legge già pronta per mettere fine all’ingiustizia.

Senonché per far funzionare lo schema bisogna nascondere una parte della realtà. Non solo riguardo al ddl Zan che, come abbiamo detto molte volte, non c’entra affatto con la tutela delle persone omosessuali da atti di violenza e ingiusta discriminazione: per questo c’è già la legge italiana attualmente in vigore che, punendo i vari atti di violenza contro ogni persona, prevede l’aggravante per motivi futili e abietti, usata anche nel caso di motivi legati alle preferenze sessuali. Il ddl Zan invece ha lo scopo di punire chiunque non approvi l’ideologia Lgbtq…(e chi più ne ha, più ne metta).

No, la parte di realtà nascosta riguarda proprio il cuore del caso Malika, un fatto che da solo smonta tutto il castello che intorno alla vicenda è stato costruito per promuovere il ddl Zan. Lasciamo stare anche il fatto che il fratello di Malika racconti tutt’altra versione dei fatti, e diamo pure per buona la versione della ragazza.

Il fatto è che la famiglia di Malika è islamica: papà marocchino e mamma italiana convertita all’islam. Per poter montare il caso, utile alla causa Zan, si è omesso questo particolare, che a fatica, dopo giorni, è emerso da qualche organo di informazione minore. Già, perché questo piccolo particolare cambia completamente la storia, che dovrebbe invece accendere i riflettori su cosa accade nelle comunità islamiche in Italia, riguardo alle donne, e anche nei paesi islamici riguardo agli atti omosessuali. A questo proposito, basti ricordare che se Malika avesse confessato la sua omosessualità nel paese di origine di suo padre, il Marocco, avrebbe rischiato una pena di tre anni di carcere. E molto peggio le sarebbe andata in qualsiasi altro paesi islamico. Altro che la solidarietà subito scattata in Italia con una colletta pubblica che le ha già fruttato oltre 100mila euro.

Più che alle discriminazioni contro gli omosessuali, il caso Malika andrebbe casomai accostato a precedenti ben più gravi avvenuti in Italia contro giovani donne islamiche: ricordate Hina, la ragazza pachistana che viveva nel bresciano, uccisa dai suoi familiari perché si stava occidentalizzando troppo? E Rachida, la giovane donna madre di due figli, uccisa a martellate dal marito perché si stava accostando alla fede cristiana, e la cui vicenda è stata raccontata in un libro scritto da Souad Sbai?

Questi casi sono solo la punta dell’iceberg: in Italia c’è addirittura un Numero verde (800682718) dedicato alle donne arabe vittime di violenza, all’interno del progetto “Mai più sola” dell’associazione Acmid-Donna onlus a cui nel periodo settembre 2019-settembre 2020 sono arrivate bel 6.210 richieste di aiuto: il 51,5% per violenze e maltrattamenti, il 12% per casi di poligamia, lo 0,7% per matrimoni forzati (anche Hina fu vittima di questa pratica), l’8,6% per problemi legati all’affido dei figli minori, inclusi casi di rapimento che qualche volta affiorano anche sulle pagine di cronaca dei nostri giornali. In questo prolungato periodo di lockdown i casi, dice Acmid, sono aumentati del 67%. E questo è soltanto quello che viene denunciato, ma molti di più sono i casi che restano nascosti all’interno di comunità chiuse e spesso “religiosamente” controllate in modo ferreo (vogliamo parlare delle violenze contro coloro che si convertono, in Italia, al cristianesimo?). A questo poi vanno collegati altri fenomeni inquietanti, come la “scomparsa” di ragazze islamiche dalla scuola (il 60% non termina il ciclo di studi).

Questa è la vera emergenza che abbiamo in Italia, ma nessuno ovviamente se ne occupa, né ci sono vip che lanciano collette per aiutare le vittime delle tradizioni islamiche, che non hanno il privilegio di essere omosessuali.

Già, perché se c’è una cosa che il caso Malika insegna è che le persone con tendenze omosessuali, vittime di violenze, sono privilegiate rispetto alle altre vittime. Altro che necessità del ddl Zan. Una volta ancora si dimostra che solo la menzogna, sostenuta dai principali organi di informazione, può spacciare per emergenza quella che a tutti gli effetti si sta dimostrando una situazione di privilegio. Se il ddl Zan fosse approvato, questa palese ingiustizia si aggraverebbe ancora di più.