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IL BELLO DELLA LITURGIA

Lo sguardo di Stefano sul destino che lo attende

Il racconto delle vicende di Stefano, si trova negli Atti degli Apostoli, le cui letture hanno caratterizzato la liturgia della settimana che sta per concludersi. Vittore Carpaccio, ha reso il soggetto del protomartire nei dipinti di Venezia. Un'opera ormai smembrata e custodita in diversi musei. 

Cultura 11_05_2019

Vittore Carpaccio, La Disputa di Santo Stefano, Milano – Pinacoteca di Brera

In quei giorni, Stefano, pieno di grazia e di potenza, faceva grandi prodigi e segni tra il popolo.

Santo Stefano, come è noto, si festeggia il 26 dicembre quando la Chiesa ricorda i “comites Christi” ovvero coloro che sono stati più prossimi a Gesù nel Suo percorso terreno e, per primi, hanno dato la vita per Lui.  Il racconto completo delle vicende del Protomartire, dei miracoli da lui compiuti, del discorso nella sinagoga, del conseguente martirio e funerale, si trova negli Atti degli Apostoli. Queste pagine, che hanno caratterizzato la liturgia della settimana che sta per concludersi, sono state fonte di ispirazione per moltissimi artisti. Uno fra tutti, Vittore Carpaccio, ne fece il soggetto dei dipinti realizzati per la Scuola intitolata al Santo, dirimpetto alla Chiesa a lui dedicata in quel di Venezia.

La confraternita, una delle più antiche della città, ottenne una sede definitiva nella seconda metà del Quattrocento. All’inizio del secolo successivo si decise di affidare la decorazione della sala maggiore al maestro che, tra il 1511 e il 1520, eseguì ben cinque teleri - tele di grandi dimensioni addossate direttamente alle pareti- su cui raccontò le storie del diacono scelto dagli Apostoli, subito dopo la Pentecoste, per la sua sapienza e la sua fede, affinché si occupasse delle opere di carità della neonata comunità cristiana.

Le cinque grandi opere che costituivano, in origine, l’intero ciclo, in seguito alle soppressioni napoleoniche furono disseminate in diverse collezioni museali europee. Solo quattro sono sopravvissute. La consacrazione di Stefano e di sei suoi compagni si trova a Berlino. Riconosciamo i diaconi dai paramenti liturgici della dalmatica e della stola e individuiamo Pietro perché in possesso delle chiavi, suo attributo iconografico. E’ davanti a lui, sui gradini di quello che possiamo figurarci essere il Tempio di Salomone, ormai trasformato in chiesa, che si inginocchia, isolato, Stefano a ricevere la consacrazione.

La Predica è conservata al Louvre. Rialzato su un piedistallo romano, sullo sfondo di una Gerusalemme immaginaria, il santo diacono, attorniato da personaggi eterogenei che stanno a indicare l’universalità del messaggio cristiano davvero rivolto a tutti, indica il cielo da cui proviene la salvezza, unica via di redenzione. 

Nella Disputa, unico telero ancora italiano, Stefano guarda fuori dal quadro, come per intercettare l’osservatore. Il pittore attira, così, la nostra attenzione sulle mani del giovane che computa gli argomenti di cui sta discutendo all’interno del Sinedrio, qui risolto in un loggiato aperto. Dotti ebrei, uomini della sinagoga, figure di confratelli veneziani che forse si addicono di più allo sfondo esotico e fantasioso, più simile, comunque, a Venezia che a Gerusalemme, lo ascoltano, mostrando diversi gradi di attenzione.  All’ignoranza e alla superbia degli ebrei, capisaldi della coraggiosa requisitoria di Stefano, sembrano alludere la faraona in primo piano e il libro aperto, appoggiato sulla pedana. Il titolo, INSA57, potrebbe rimandare ai versetti del Libro della Sapienza che così recitano:
«Abbiamo dunque abbandonato la via della verità, la luce della giustizia non ci ha illuminati e il sole non è sorto per noi. Ci siamo inoltrati per sentieri iniqui e rovinosi, abbiamo percorso deserti senza strade, ma non abbiamo conosciuto la via del Signore.
Quale profitto ci ha dato la superbia?”

Il discorso costò la vita al diacono che, trascinato fuori dal Sinedrio, fu lapidato secondo un’usanza giudaica. Era l’anno 36. Carpaccio racconta l’esecuzione del santo in un paesaggio collinare, mettendo in risalto la concretezza delle pietre che alcuni soldati gli stanno scagliando addosso, mentre altri le raccolgono da terra. Nell’ambientazione cupa della scena s’intravvede un cerchio di luce dal dischiudersi delle nubi in cielo. E’ lì che Stefano rivolge lo sguardo, certo del destino luminoso che lo attende.