Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
San Felice I a cura di Ermes Dovico
TRISTE RITO

Lo (s)concerto del primo maggio, marxista e volgare

Il guazzabuglio qualunquista e politicamente corretto del concerto del Primo Maggio: politica, di Sinistra e volgarità. Una genesi marxista che proprio non vuole perdersi. 

Attualità 02_05_2018

A chi ha una certa età la parola «concerto» evoca musica classica, la Scala, il maestro Chailly, smoking e abiti da sera, foyer e dame ingioiellate. Ma dovremo abituarci all’idea che anche questo termine ha subito una proletarizzazione, nel senso di un palco, un microfono e qualcuno che canta a squarciagola qualcosa del tipo «Mi sono rotto il c…o». Molto fine. All’ormai tradizionale «concerto» (lo chiamano così) del Primo Maggio, in piazza San Giovanni a Roma, proprio con un brano così intitolato ha esordito tal Lodo, cantante del complessino denominato «Stato sociale», alle ore quindici e in diretta sui Rai3 (che una volta era TeleKabul ed ora è non si sa cosa ma sempre a vocazione sinistra).

Pare che ne abbia cambiato il testo, anche se non so che cosa declamasse prima. Ora ha chiamato in causa l’attuale presidente del Senato, Maria Elisabetta Alberti Casellati, e il già presidente di tante cose Luca Cordero di Montezemolo, con questi aulici versi: «Mi sono rotto il c…o (di voi, ndr), prima dei vitalizi sarebbe giusto tagliare i vostri cognomi». Meglio tagliare i cognomi che i vitalizi (si suppone, ai parlamentari)? Boh. Montezemolo parlamentare non è, ma del resto «sono solo canzonette», cantava una volta Edoardo Bennato, perciò cercarvi una logica è vano esercizio. Infatti, così prosegue, in ammucchiata, il testo declamato dal palco di San Giovanni: «…mi  sono rotto il c…o che difendiamo i confini, odiamo i neri (…), della spesa militare, che è sempre colpa degli immigrati (…), di viva il lavoro ma senza i diritti…».

Insomma, un guazzabuglio qualunquista e politicamente corretto che, politicamente, non si saprebbe come incasellare. Ideologico, il testo, lo è, sì, ma de che ? Tra i chiamati in causa dalla canzone del summentovato Lodo c’è anche Giacinto della Cananea, probabilmente colpevole solo di  aver un cognome lungo. Ma ai «concerti» è come a messa durante l’omelia: non si può replicare, e il contraddittorio non è ammesso. Così, i nominati si vedono coinvolti a un milione di decibel e in diretta televisiva senza neppur sapere perché. Scrive «Repubblica.it» che «il concerto è poi continuato con le esibizioni di Maria Antonietta, Frah Quintale e l'applauditissimo set del rapper Achille Lauro, Mirkoeilcane, i rapper Nitro e Gemitaiz, Willie Peyote, Canova in vista della serata che sarà aperta da Ministri e Gianna Nannini, Sferaebbasta e Max Gazzè. Chiuderà il dj set del re della consolle Fatboy Slim».

Ci chiediamo quanti di questi nomi sopravvivranno sulla scena il prossimo anno. La co-conduttrice Ambra Angiolini ha poi ingentilito l’esibizione leggendo poesie e brani d’autore di argomento lavorativo, ricordando che si muore ancora per infortuni sul lavoro. Lodo ha commentato che «se non si investe in sicurezza si è complici di una strage». Va detto che la stessa cosa si può dire all’Anas e alla Società Autostrade, dal momento che i morti per incidenti stradali sono molti di più di quelli per infortuni lavorativi.

Ma non c’è una Festa della Strada, mentre c’è quella del Lavoro, il Primo Maggio, festa che non riesce a scrollarsi di dosso la genesi marxista. Dopo la prosa, però, si è tornati agli alati versi, come quelli del cantante Willie Peyote, il cui nome d’«arte» (si fa per dire) è una goliardica deformazione del popolare personaggio dei cartoni animati Willy Coyote, laddove il Peyote è un fungo allucinogeno.

Mi si riferisce che la canzone verseggiava suppergiù così: «… che fine ha fatto l’umorismo?  togliti il palo dal c…o, lascia stare il catechismo che tanto non fa effetto, no, non sono neanche battezzato e se Dio esiste è pure peggio perché, è evidente, ha cazzeggiato…». Mentre scriviamo, il «concerto» è in pieno svolgimento. Ci saranno ulteriori declamazioni a sorpresa? Non lo sappiamo; né, detto fra noi, abbiamo granché voglia di saperlo.