Liturgia al centro I progressisti ora sono conservatori
Riconciliazione liturgica o riforma irreversibile? Il fronte progressista è arroccato in una posizione conservatrice per cui la riforma conciliare non si può toccare. Però 50 anni fa si toccò la messa gregoriana che di anni ne aveva 1500. La posta in gioco è grande: la forma liturgica esprime la fede. E oggi si stanno compiendo epocali cambiamenti di contenuti dottrinali bimillenari che produrranno un cambiamento di contenuto della Messa e dei Sacramenti.
-LA TRAVERSATA DEL DESERTO di A. Zambrano
Ancora una volta la questione liturgica è tornata al centro dell’attenzione della vita della Chiesa e non solo, visto che anche numerosi mezzi di informazione ‘laici’ ne hanno dato un certo risalto: alcuni giorni fa papa Francesco ha rivolto un discorso denso e articolato ad un importante organismo (il CAL) che si occupa di liturgia e che compie settant’anni di vita; quasi in contemporanea è uscita l’intervista che il cardinal Sarah, prefetto del dicastero per il Culto Divino, ha rilasciato ad una rivista cattolica francese (la Nef). Pur tenendo presente che si tratta di due interventi di tenore diverso per destinatari e per contesto, sarebbe comunque difficile negare che vi sia tra essi una difficoltà di sintonia. Infatti mentre il cardinale Prefetto rilancia ancora una volta, e nonostante le ripetute opposizioni ad essa, l’idea di un possibile intervento correttivo sulla ‘riforma’ liturgica in corso da cinquant’anni, il Papa dichiara questa stessa riforma irreversibile, aggettivo che a questo punto pare sinonimo di irreformabile.
Dunque, dicevamo, la questione liturgica è di nuovo al centro. E lo è in una forma sorprendente: il fronte progressista, che sta dietro a questo discorso di papa Francesco e agli altri suoi interventi in materia, è ora paradossalmente arroccato in una posizione conservatrice per cui la riforma liturgica postconciliare non si può toccare; il fronte conservatore invece sostiene, pur con mille distinguo, l’esigenza di interventi correttivi sulla scorta della ‘riforma della riforma’ ratzingeriana o, per meglio dire, della ‘riconciliazione liturgica’ di cui parla il cardinal Sarah. Inutile dire che le forze in campo sono assolutamente sproporzionate e che il destino della tesi riformistica è, nello stato attuale, già segnato. Non di meno la questione è di importanza capitale e merita qualche riflessione.
Anzitutto resistiamo alla tentazione di pensare che si tratti di problemi di lana caprina, di ‘roba da preti e che se la vedano loro’. La liturgia è sempre espressione di una visione della fede, del cristianesimo, della Chiesa; e mentre la esprime ne è anche il veicolo: cinquant’anni fa la Chiesa (nel senso dell’autorità ecclesiastica) ha cambiato la messa, e in questi cinquant’anni la (nuova) messa ha cambiato la Chiesa (nel senso della comunità dei fedeli e della loro mentalità). D'altronde gli stessi operatori della riforma liturgica postconciliare hanno motivato l’esigenza del cambiamento del rito e coerentemente hanno proibito con forza per decenni la forma liturgica tradizionale, poiché – sostenevano – solo il nuovo rito era pienamente adeguato ad esprimere il rinnovamento della visione teologica ed ecclesiologica di cui erano portatori i documenti conciliari. Dunque non si tratta di dettagli. Non possiamo non citare ancora una volta le parole, più attuali che mai, dell’allora cardinale Ratzinger: “Sono convinto che la crisi ecclesiale in cui oggi ci troviamo dipende in gran parte dal crollo della liturgia” (La mia vita, Ed. San Paolo 1997, pag. 113).
Detto questo, occorre quindi valutare con attenzione la forma liturgica in corso e la congruenza di una sua presupposta irreversibilità. Riguardo a questo, infatti, non si possono evitare alcune osservazioni.
Per prima cosa, già stando alla semplice cronologia, c’è un problema di logica: pare strano infatti che si dichiari intoccabile una storia liturgica che ha cinquant’anni, mentre i suoi fautori cinquant’anni fa non si sono fatti problema a mettere le mani su una storia liturgica che di anni ne aveva mille e cinquecento! Infatti è vero che il messale in uso fino alla riforma postconciliare è stato codificato da san Pio V (XVI secolo), ma l’ordo, cioè la struttura e i testi, della messa tradizionale risale a san Gregorio Magno (VI secolo) tanto che essa può a giusto titolo essere chiamata anche messa gregoriana.
In secondo luogo c’è un altro problema di coerenza. Stiamo vivendo un momento di attuati o previsti mutamenti non della forma ma addirittura del contenuto della messa e dei sacramenti: in seguito ai due sinodi sulla famiglia è ampiamente mutata la prassi circa la ricezione dei sacramenti della confessione e della comunione ai divorziati risposati e ai conviventi; riguardo al sacramento dell’ordine è ufficialmente al lavoro ai più alti livelli una commissione che studia la possibilità del diaconato femminile e contemporaneamente la Civiltà cattolica, organo sempre più quasi ufficiale della santa Sede, lascia intendere che l’esclusione delle donne dal presbiterato non sia poi così definitiva come sembrava ai tempi di Giovanni paolo II; quanto poi al battesimo, è da un pezzo che il suo valore è stato relativizzato, visto che ben pochi lo considerano ancora davvero necessario alla salvezza eterna; infine veniamo alla messa: è noto, anche se non ufficialmente confermato, che a Roma si stia lavorando per produrre un rito che consenta a cattolici e protestanti di mettersi intorno allo stesso altare; come si intenda realizzare questo non è dato saperlo, ma visto che i protestanti hanno una dottrina opposta circa l’essenza stessa della messa, cioè circa il sacrificio, il sacramento e il sacerdozio, i mutamenti richiesti da una presunta ‘concelebrazione’ non saranno quisquiglie… E dunque con tutto questo in ballo, mentre si stanno compiendo o almeno preparando epocali cambiamenti di contenuti dottrinali bimillenari, contemporaneamente si proclama l’intangibilità delle forme rituali codificate pochi decenni fa?
Alla luce di tutto questo la barriera messa in atto in questo momento dall’Autorità ecclesiastica e dai corifei della conservazione dello status quo contro qualunque ipotesi di correzione della riforma liturgica postconciliare è più che comprensibile: l’idea di ‘riforma della riforma’ o di ‘riconciliazione’ tra le due forme liturgiche, quella preconciliare e quella postconciliare, porta con sé l’idea di un benefico reciproco influsso tra di esse (che Benedetto XVI auspicava nella promulgazione del Summorum Pontificum) e quindi di un riequilibrio rispetto alle spinte innovatrici che hanno estremizzato la riforma in ambito liturgico, ma anche, di conseguenza, in ambito teologico, morale, pastorale, ecc… Ora, è evidente che questo è incompatibile con la visione di coloro, e sono la maggioranza in alto e in basso, che ritengono che il problema sia invece non aver portato ancora a radicale compimento il cambiamento iniziato cinquant’anni fa.