Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
Cristo Re a cura di Ermes Dovico

QUARTA SPONDA

L'Italia volta le spalle alla Libia. La Francia, invece...

L'Italia rifiuta ogni tipo di aiuto al governo laico di Tobruk, unico riconosciuto della Libia. E così facendo lascia bruciare miliardi di dollari di petrolio, incendiato dalle milizie islamiste nei terminal di Ras Lanuf e Sidra. Se l'Italia si chiama fuori, la Francia si prepara a intervenire, al fianco di una coalizione di paesi africani.

Esteri 05_01_2015
Petrolio in fiamme a Ras Lanuf

Alla fine l’incendio lo hanno spento i pompieri libici ma la vicenda dei due depositi di greggio incendiati da un razzo dei ribelli islamisti e rimasti in fiamme per una settimana mandando letteralmente in fumo 4 dei 19 depositi e 1,8 milioni di barili di petrolio dei 6,2 stoccati a Sidra compromette la già poco affidabile immagine dell’Italia nella sua ex colonia.

La vicenda, così indecorosa per il governo italiano da essere stata taciuta da gran parte dei media nazionali, ha del paradossale. La vigilia di Natale, dopo giorni di attacchi inconcludenti condotti dalle milizie islamiste del fronte “Alba della Libia” contro i terminal petroliferi di Ras Lanuf e Sidra, i ribelli bersagliano con razzi pesanti i depositi di greggio incendiandone uno. Il fuoco si propaga e sembra fuori controllo coinvolgendo ben 4 depositi. Il governo libico, quello laico di Tobruk riconosciuto dalla comunità internazionale, chiede aiuto all’Italia.

Un aiuto “umanitario” sotto forma di velivoli antincendio Canadair della protezione Civile italiana che avrebbe potuto fare la differenza. I velivoli anfibi, rifornendosi d’acqua in mare di fronte ai depositi in fiamme, avrebbero infatti potuto sedare rapidamente l’incendio, ma Roma ha negato l’aiuto subordinandolo a una ridicola quanto pretestuosa pretesa di cessate-il-fuoco tra governativi e fronte “Alba della Libia”.

Una richiesta assurda che conferma ancora una volta il livello inaudito di inadeguatezza che l’Italia sta toccando in politica estera con il governo Renzi. Era evidente a chiunque che i tempi lunghi di un negoziato, che fermasse le ostilità, erano incompatibili  con l’esigenza di domare in fretta le fiamme che bruciavano miliardi di dollari. Inoltre anche uno sprovveduto avrebbe intuito che i ribelli islamisti sostenuti da Turchia e Qatar hanno bombardato il terminal con l’obiettivo di incendiare il greggio e non avevano quindi nessun motivo per negoziare un cessate-il-fuoco che consentisse ai governativi di domare le fiamme.

Il governo Renzi continua, quindi, a favorire indirettamente le milizie islamiste negando ogni tipo di aiuto al governo legittimo libico, prima negando sostegno militare (armi e consiglieri militari) poi perfino l’intervento degli aerei antincendio a tutela di un petrolio che la Libia vende soprattutto all’Italia e non è certo un caso che anche al conflitto siano attribuite le recenti perdite borsistiche di Eni.

Inoltre la nuova “strategia energetica” varata dal governo Renzi, dopo la crisi con la Russia, prevede di puntare sulle forniture dal Nord Africa e Sahel per garantirci gli approvvigionamenti di gas e petrolio. Sarebbe quindi logico attendersi da Roma la disponibilità a tutelare la stabilità libica e a proteggere i terminal petroliferi, elementi di cui invece non v’è traccia.

Anzi, l’evidente volontà del governo italiano di non aiutare il governo laico di Abdullah al-Thani lascia trasparire l’ipotesi che Roma abbia già “venduto” la Libia al Qatar giocando nella squadra degli islamisti. Certo, la posizione ufficiale ribadita a ogni occasione dal Ministro degli esteri, Paolo Gentiloni, è che l’Italia voglia favorire i negoziati di pace proposti senza successo dall’Onu. Ma si tratta di un alibi poiché non ci sono basi per trattative e il fronte islamista è così ampio e variegato da non consentire negoziati credibili: dai Fratelli Musulmani filo Doha e Ankara alle milizie tribali di Misurata, dalle brigate salafite di Tripoli ai qaedisti del fronte Ansar al-Islam in Cirenaica per finire con le milizie dell’Emirato di Derna, fedeli allo stato islamico istituito in Iraq e Siria e che venerdì hanno cominciato a decapitare soldati libici prigionieri.

Ce ne sarebbe abbastanza per immaginare che Roma debba dare una mano alle forze laiche di al-Thani e all’esercito di Khalifa Haftar, specie tenendo conto che l’Italia ha inviato aerei, droni, elicotteri e consiglieri militari in Iraq per combattere lo Stato Islamico. Invece il governo Renzi sembra succube delle spregiudicate pressioni del Qatar, che non esita a far valere il peso dei suoi investimenti miliardari in Italia e in Europa fin dalla guerra contro Gheddafi nel 2011, a cui Doha partecipò con aerei e forze speciali che presero il controllo di Tripoli guidando i ribelli islamisti.

Come si fa a non notare che della decina di Paesi europei e occidentali che aderiscono alla Coalizione anti Califfato in Iraq, neppure uno aiuta il legittimo governo libico contro la vasta gamma di movimenti islamisti/jihadisti che deve fronteggiare? I petrodollari del Qatar ricattano pesantemente la politica estera europea e già nel 2012 le pressioni di Doha convinsero il governo Monti ad approvare la mozione al voto alle Nazioni Unite per la rappresentanza palestinese all’Onu. Roma avrebbe dovuto astenersi, ma Mario Monti tornò da Doha con 10 miliardi di investimenti qatarini in Italia condizionati evidentemente al voto di Roma al Palazzo di Vetro.

Certo l’Italia non è l’unico Paese che si è fatto dettare la politica estera dai petrodollari del Golfo anche se pare che a Parigi qualcosa si stia muovendo sul fronte del contrasto agli islamisti in Nord Africa e Sahel. Parrebbe di sì, a giudicare dalle parole del Ministro della difesa francese Jean-Yves Le Drian.

La Francia non potrà mai “accettare” che la Libia si trasformi in una “roccaforte terrorista”, ha detto a Capodanno il Ministro della difesa francese Jean-Yves Le Drian, in visita alle truppe schierate in Ciad. Tremila militari francesi con 400 veicoli 30 aerei ed elicotteri sono impegnati da mesi nell’Operazione Berkhane che li vede aggregati agli eserciti di cinque paesi del Sahel nella caccia a qaedisti e trafficanti. Le azioni militari più recenti, rese possibili dalla creazione di una base francese nel deserto del Niger, sono in corso lungo il confine meridionale libico.

“In Libia il caos politico e di sicurezza sta portando alla formazione di un santuario terrorista alle porte dell’Europa. Sarebbe un gravissimo errore per la comunità internazionale assistere senza agire davanti allo sviluppo di un cancro nel cuore del Mediterraneo. Questo non è accettabile” ha detto Le Drian a N’Djamena in un discorso che molti analisti considerano l’anticamera di un prossimo intervento militare francese in Libia. Fonti ben informate riferiscono da Parigi che le forze armate francesi siano già al limite delle capacità di impiego oltremare, tenendo conto delle ingenti forze schierate nel Sahel, ma anche in Iraq, Emirati Arabi e Giordania per la guerra al Califfato, in Centrafrica e nei numerosi presidi militari nelle colonie ed ex colonie dalla Guyana all’Africa, dall’Oceano Indiano alla Polinesia.

Ciò nonostante l’ipotesi che Parigi punti a raccogliere intorno a sé una coalizione di Paesi africani (Sahel più Algeria ed Egitto?) per guidare un intervento in Libia è più che credibile come confermano le dichiarazioni del presidente nigerino, Mahamadou Issoufou, che accogliendo Le Drian a Niamey ha sottolineato che “un intervento internazionale è essenziale per la riconciliazione di tutti i libici compresi i sostenitori di Gheddafi”.

Parlando ad al-Arabiya, il presidente ha espresso dubbi sulla possibilità che la crisi libica possa risolversi con il solo dialogo politico tra le parti in campo, sconfessando la posizione inconcludente assunta dall’Italia. “Non vedo come le milizie terroriste armate possano creare le condizioni per la riconciliazione tra i libici”. Persino il Niger, uno dei cinque Paesi più poveri del mondo, ha una visione più concreta di quella italiana sulla crisi libica e soprattutto una maggiore indipendenza e intraprendenza poiché da mesi il governo di Niamey sostiene la necessità di intervenire contro i jihadisti in Libia.

Ne discuterà oggi al Cairo anche la Lega Araba convocata d’urgenza per valutare “i pericolosi sviluppi in atto in Libia e l'aumento di atti di violenza e terrorismo che non prendono di mira solo individui, ma anche le infrastrutture economiche vitali che rappresentano la ricchezza del popolo libico, in particolare le riserve di petrolio".

Il rischio è quindi che mentre l’Italia perde le ultime briciole di credibilità in Libia, il governo laico già sostenuto da Egitto, Russia, Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti possa contare anche su una coalizione franco-africana il cui intervento contribuirebbe a spazzare via gli islamisti ma anche a cancellare del tutto l’influenza di Roma sulla nostra ex “quarta sponda”.