L'Isis è il primo gruppo terrorista con armi chimiche
A indagine non ancora ultimata, funzionari statunitensi confermano alla Bbc che l'Isis è dotato di armi chimiche e le sta già usando contro i curdi. La notizia conferma una serie di sospetti, emersi dall'estate del 2014 in poi. L'Isis sarebbe così il primo gruppo terrorista dotato di armi di distruzione di massa. La guerra lenta contro il Califfato registrerà una svolta?
In coincidenza con il 14mo anniversario dell’11 settembre, è giunta la conferma che l’Isis possiede armi chimiche e le sta già usando. Lo ha rivelato un funzionario statunitense alla Bbc.
In primo luogo, è una notizia shock, ma non coglie di sorpresa nessuno. Già durante la campagna per la conquista dell’Iraq settentrionale, l’Isis si era impossessato di uno stabilimento per la costruzione e l’assemblaggio di armi chimiche dell’ex esercito di Saddam Hussein. Il 10 luglio 2014, il ministro degli Esteri di Baghdad, Mohammed Ali al Hakim aveva confermato la notizia con una lettera inviata all’Onu. Lo stabilimento era quello di Muthanna, controllato dall’esercito regolare e dagli americani durante la lunga occupazione dell’Iraq (2003-2011), ma mai smantellato, perché ritenuto “non pericoloso”. Nei suoi depositi erano infatti contenuti vecchi agenti chimici. Le sostanze presenti a Muthanna erano il sarin, il cianuro di sodio e l’yprite (o gas mostarda) ed è proprio quest’ultimo che gli jihadisti starebbero usando contro i peshmerga curdi negli ultimi mesi. Sospetti di uso di armi chimiche, non letali, in quel caso, erano sorti già durante l’estate e l’autunno del 2014: le bombe da strada (Ied) esplodevano producendo grandi nubi arancioni, che gli artificieri iracheni hanno identificato come gas al cloro. Quelle quantità, tuttavia, hanno provocato numerose intossicazioni, ma nessun morto.
Dopo gli episodi in Iraq, la paura per le armi chimiche dell’Isis è ricomparsa in Siria e Kurdistan. I primi attacchi si sono registrati nell’area di Aleppo, a Samrin, lo scorso marzo. Le immagini, che mostravano adulti e bambini intossicati e ricoverati d’urgenza in ospedali improvvisati, mostravano persone sofferenti per soffocamento, ma privi di ferite esterne. Il maggior indiziato, in quel caso, era il gas al cloro, usato in quantità massicce. Questa estate, i peshmerga curdi che combattono contro le milizie jihadiste hanno denunciato almeno quattro attacchi con gas tossici, contenuti in proiettili d’artiglieria. In uno di questi attacchi erano presenti anche consiglieri militari tedeschi, che sono rimasti illesi, ma hanno reso internazionale la denuncia. Le ferite erano diverse: non solo le vittime erano soffocate, ma mostravano ferite da ustione e vesciche sulla pelle, il tipico sintomo di intossicazione da yprite. In agosto, gli Stati Uniti hanno avviato la loro indagine per accertare la natura e l’entità della minaccia. Intanto, un reporter della Bbc in Siria, Ian Pannell, raccoglieva immagini, testimonianze e prove dell’uso dei gas da parte dell’Isis.
I sospetti sull’uso di armi chimiche, inizialmente, ricadevano su Bashar al Assad. L’opzione di intervento statunitense nel settembre 2013, poi mai materializzatasi, si fondava proprio sull’urgenza di privare il regime siriano delle sue armi di distruzione di massa. Ora però l’ipotesi che le armi chimiche siano usate dai governativi è quasi del tutto svanita, non fosse altro perché Damasco ha accettato di consegnare il suo arsenale all’Opcw (l’organizzazione internazionale, ora anche premio Nobel per la pace, che implementa il divieto di armi chimiche) e fra l’ottobre del 2013 e il giugno del 2014 ha consegnato, per la distruzione, 1180 tonnellate di agenti tossici e precursori chimici. Però gli attacchi chimici sono, non solo continuati, ma anche aumentati, per numero e intensità. Dunque è l’Isis, non Assad, che sta usando armi di distruzione di massa. E ieri l’indagine statunitense ha stabilito che, non solo l’Isis possiede l’yprite, ma potrebbe già essere in grado di produrla in proprio. Sono infatti considerate meno probabili che le armi attualmente usate siano state trafugate da arsenali e fabbriche irachene e siriane, mentre l’ipotesi più quotata è che siano state assemblate da cellule specializzate dell’Isis. Probabilmente questo è uno scenario addirittura peggiore, perché significa avere a che fare con uno Stato jihadista con un proprio arsenale di armi di distruzione di massa, non solo con scorte lasciate da vecchi regimi e in dirittura di esaurimento.
Nemmeno Al Qaeda è mai riuscita a procurarsi armi non convenzionali e i tentativi di Hezbollah di impossessarsi di ordigni chimici sono sempre stati impediti da incursioni aeree mirate israeliane. L’uso di gas nella guerra contro i curdi, dimostra che l’Isis non esiti a usare in battaglia qualunque cosa abbia per le mani. Nelle sue file militano anche numerosi ufficiali e alti ufficiali dell’esercito di Saddam Hussein, l’unico che, in tempi recenti, abbia fatto ampio uso dei gas, sia nella guerra contro l’Iran (1980-1988), sia nella repressione della rivolta curda (1986-1989). La necessità di disarmare un nemico pericoloso e dotato di armi di distruzione di massa è sempre stata addotta come giustificazione per un intervento armato. Il semplice sospetto che Saddam Hussein possedesse armi di distruzione di massa e potesse cedere parte del suo arsenale a gruppi terroristi, ha fatto scoppiare la guerra del 2003. La stessa giustificazione avrebbe potuto essere addotta per un intervento contro Bashar al Assad, dieci anni dopo, anche se poi la guerra non si è fatta e tuttora non è chiaro se, gli attacchi chimici in questione, siano stati sferrati dalle sue truppe o dagli jihadisti (e l’uso dei gas da parte dell’Isis rafforza ulteriormente questo sospetto).
E adesso? La guerra al Califfato procede a rilento, con poche incursioni aeree, invio di armi e consiglieri a milizie locali. Nessun governo occidentale dimostra una concreta volontà di distruggere lo Stato Islamico con la forza necessaria (truppe di terra) e in tempi utili, benché il sospetto che il gruppo terrorista fosse dotato di armi di distruzione di massa ci fosse, come abbiamo visto, sin dall’estate del 2014. Anche la lentezza con cui è stata condotta l’indagine. Anche l’Onu adesso si muove, annunciando una propria indagine sul terreno, dunque occorreranno altre settimane, forse mesi, per avere un’ulteriore conferma. Un’eventuale ufficializzazione della notizia costituirà la prova del nove. Se anche allora non ci si muoverà con maggior determinazione contro l’Isis, sarà la dimostrazione che nessuno ha la volontà di affrontarlo. Ma il rischio, per tutti noi, sarà molto più alto rispetto all’11 settembre di 14 anni fa.