L’innocenza dei bambini? Un mito che ignora il peccato originale
Molti commenti sul caso dei minori di 14 anni coinvolti nell’omicidio stradale di Gratosoglio, non imputabili per la legge italiana, tendono a scagionare i ragazzini perché “inconsapevoli”. E indicano pseudo-soluzioni. Tutto ciò ignora la realtà del peccato originale e il rimedio: educare alla legge di Dio e alla vita sacramentale.

“E daje, so’ ragazzi!”. È questo il tenore dei commenti sulla tragedia che ha stroncato la vita a Cecilia De Astis, pensionata di 71 anni che si trovava su un marciapiede di Gratosoglio, quartiere di Milano. Per la legge, i “ragazzi” risultano di fatto non imputabili, in quanto di età inferiore ai quattordici anni; e chissà poi perché a tredici anni un ragazzo non dovrebbe essere in grado di capire cosa significa guidare un’auto rubata o ammazzare una persona. Ma anche in molti dei commenti generali è evidente la corsa a scagionare questi ragazzini dalle proprie responsabilità. Perché vuoi mai che dei ragazzini che sono in questo mondo da circa 12 anni abbiano mai avuto consapevolezza di quello che stavano facendo? Poi, si sa, i bambini sono innocenti per antonomasia, e dall’innocenza può accidentalmente scaturire un errore, mica una colpa.
In un tempo in cui si è assuefatti ad assolvere ancor prima di conoscere i fatti e perdonare ancor prima che ci sia un pentimento – ovviamente sempre quando ad essere calpestati sono i piedi altrui, non i nostri –, quattro pargoli che guidano un’auto rubata, uccidono una persona e scappano via, restano sempre e comunque innocenti. E la partita dei commenti pubblici dev’essere giocata su altri piani.
E allora suona le trombe il partito di quelli che “ci vuole più sicurezza”. Il mondo ideale sarebbe quello dove si ha una pattuglia ogni chilometro, telecamere di videosorveglianza ogni 100 metri, e – perché no? – dei droni azionabili da remoto, in grado di sventare a tempo di record ogni reato che si affacci all’orizzonte. Reale o presunto. Nel pacchetto sicurezza non può mancare il potenziamento dei servizi sociali, che devono prevenire ogni possibile disagio giovanile; e la “Skuola”, quella che basta che ti siedi sui banchi e sei già nel numero dei redenti.
Ma qual è il vero, tragico problema dietro alla tragedia di Gratosoglio? Qual è la drammatica verità, per allargare il panorama, dietro ai sempre più numerosi e gravi reati commessi da bande di giovanissimi, che sono diventati delle pericolose mine vaganti all’interno delle nostre società?
«Commisi qualche furto dalla dispensa e dalla tavola dei miei genitori, ora spinto dalla gola, ora per procurarmi qualcosa da distribuire agli altri fanciulli, che vendevano i loro giochi, sebbene vi trovassero un diletto pari al mio. Nel gioco stesso, dominato dal vano desiderio di eccellere, spesso carpivo arbitrariamente la vittoria con la frode. Eppure nulla ero così restio a sopportare, e nulla redarguivo così aspramente negli altri, se li sorprendevo, come ciò che facevo loro; mentre, se ero io ad essere sorpreso e redarguito, preferivo infierire, piuttosto di cedere. E questa sarebbe l’innocenza dei fanciulli? No, Signore, non lo è, dimmelo tu, Dio mio. È sempre la stessa cosa, che dai pedagoghi e dai maestri, dalle noci e dalle pallottoline e dai passeri si trasferisce ai governatori, ai re, all’oro, ai poderi, agli schiavi, assolutamente la stessa cosa» (Agostino, Confessioni, I, 19. 30).
Hæc ipsa sunt: sempre la stessa cosa. La radice del male alberga nell’uomo fin dai primi istanti della sua vita e cresce con il crescere della sua statura e della sua età. Agostino non aveva dei genitori delinquenti: al contrario, egli aveva piuttosto chiari i rudimenti del bene e del male, sebbene non fosse ancora battezzato; eppure, oltre ai vizi dell’infanzia, già a quindici anni riconosceva di aver compiuto un furto per il desiderio «del furto e del peccato in se stessi». Un furto di pere, che poi vennero gettate via, senza nemmeno la soddisfazione di gustarne il gusto, ma «se alcuno ne gustammo, fu soltanto per il gusto dell’ingiusto» (Ibi, II, 4. 9).
Le rivendicazioni dell’innocenza dei quattro bambini finiti sulle prime pagine dei giornali, come le proteste sulla sicurezza da incrementare sono fiato sprecato e, quel che è peggio, un diversivo per rinviare il problema che è dentro il cuore dell’uomo, non fuori. La Chiesa cattolica lo insegna da duemila anni: si chiama peccato originale, ed è il terreno inquinato su cui inesorabilmente crescono vizi e peccati, senza risparmiare alcuna età, etnia o epoca storica. Un piano inclinato in senso inverso, che ci rende più dilettevole il male e più noioso il bene, contrariamente a come sarebbe stata la nostra natura se non fosse decaduta. Che vi si creda o no, la realtà lo predica in continuazione.
Il rimedio c’è, ma a rendere drammatica la situazione del tempo presente è che questa soluzione è pregiudizialmente sminuita, avversata, sostituita da surrogati che cercano di mettere pezze nuove su abiti già logori. Il rimedio che ha portato Gesù Cristo mira invece al contrario: rendere nuova non la pezza, ma l’abito. I due volti del rimedio si chiamano legge e grazia. Che si concretizzano nella formazione della coscienza, con l’insegnamento dei comandamenti di Dio, non dei volatili principi di solidarietà; e nella vita sacramentale, per rinnovare il cuore dell’uomo dall’interno e portarlo a correre sulla via delle virtù.
Sotto i 14 anni, per la legge italiana, non si è imputabili; nella prassi della Chiesa cattolica, invece, attorno ai 5 anni, si è già in grado di confessare a Dio, davanti al suo ministro, i propri peccati; il che significa che si ha già una prima differenziazione tra le azioni buone e quelle cattive, e anche la consapevolezza della propria malizia. Il problema sta proprio qui: anziché perpetuare all’infinito il mito del bambino innocente, bisogna darsi da fare per formare la loro coscienza da subito e dare loro i mezzi della grazia, senza i quali l’osservanza dei comandamenti è difficoltosa e, nel suo insieme, impossibile. Limitarsi ad allargare le braccia, perché i bambini “che colpa ne hanno?”, o agitarle reclamando una maggiore sicurezza per i cittadini, sono due atteggiamenti che semplicemente perpetuano il problema; problema che, anno dopo anno, diventerà sempre più gigantesco, fino a rendere la vita comune impossibile.
Per decenni, anche in “casa nostra”, catechisti, educatori, sacerdoti cattolici hanno sminuito e talvolta sbertucciato l’importanza di insegnare ai bambini i comandamenti di Dio, in tutto il loro rigore, il timore del Signore, la verità dei castighi che ci attiriamo, nel tempo e nell’eternità, commettendo i peccati, l’importanza di abituarli all’esame di coscienza quotidiano e alla Confessione frequente. Tutti elementi considerati come il retaggio di una pietà medievale, tutta imperniata sul timore e non sull’amore, ma che sono invece l’unico rimedio radicale e stabile per cambiare la società dall’interno, ossia cambiando giorno dopo giorno il cuore dell’uomo. Forse dovremmo rivedere queste valutazioni superficiali e sommarie. E interrogarci se questa escalation di delinquenza giovanile non sia anche un po’ colpa nostra. Perché a noi è stata donata l’alta vocazione di essere sale della terra e luce del mondo.