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L'impegno sociale dovere del cristiano*

Per Mariano Crociata, vescovo segretario generale della Cei, non è un optional impegnarsi attivamente nel sociale, ma l’espressione di una «reale maturità».

Mariano Crociata

Non è un optional. L’impegno del cristiano nel sociale non è una delle tante possibilità della vita, ma l’espressione di una «reale maturità». Lo ha affermato il vescovo segretario generale della Conferenza episcopale italiana (Cei), Mariano Crociata, presentando ieri gli orientamenti pastorali dell’episcopato a un convegno promosso dalle Associazioni cristiane lavoratori italiani (Acli).

«Sperimentiamo forme di smarrimento, disgregazione e dispersione all’interno del tessuto sociale non solo per problemi di carattere economico, materiale e occupazionale ma anche per ragioni di ordine culturale e direi spirituale», ha detto a braccio il presule, introducendo la relazione. Rivolgendosi a una platea di sacerdoti — gli accompagnatori spirituali delle Acli — sul tema «Educare alla vita buona del Vangelo negli ambiti della vita sociale», Crociata ha messo in rilievo che «l’impegno del cristiano negli ambiti della vita sociale non è un dovere estrinseco, che si può più o meno, a piacimento, assumere, ma è la necessaria manifestazione di una educazione umana e cristiana compiuta, e quindi di una reale maturità».

Questo impegno, ovviamente, può essere assolto in modi diversi, «ma non può essere aggirato e sfuggito». Infatti, «un vero cristiano è strutturato nella sua fede e nella sua esistenza come essere ecclesiale». E, «un cristiano individualista è una contraddizione in termini, è la artificiosa composizione di due termini incomponibili, intimamente contraddittori». In questo senso — ha chiarito — «l’educazione al sociale è un aspetto da non isolare dall’educazione integrale che deve essere perseguita per ogni persona». E tutto l’ampio orizzonte della dottrina sociale della Chiesa sta appunto a dimostrare che «non può esistere una fede viva e matura che non senta il richiamo e la responsabilità nei confronti della società tutta».

Occorre tornare, rileva pertanto Crociata, «alla categoria del bene comune», laddove tale «bene è comune perché tutti ne beneficiano; ma tutti ne possono beneficiare perché ciascuno ne ha cura». Non può, dunque, «considerarsi una digressione quella che porta a rilevare una tendenza diffusa a chiudersi nel privato, a ripiegare nella cura dei propri interessi, a sottrarsi a ogni forma di partecipazione alla cosa pubblica, a cominciare dall’espressione del proprio voto in occasione di tornate elettorali, salvo poi pretendere che qualcuno, sia esso lo Stato o qualsiasi altro ente pubblico, provveda e assicuri l’espletamento dei servizi necessari».

È in atto in molti ambiti della vita sociale «una sorta di alienazione nella forma di dissociazione tra diritti e doveri, come se i beni di cui tutti hanno necessità non debbano essere prodotti e curati da quelli stessi che hanno bisogno di usufruirne». E qui «subentra uno degli aspetti non secondari dell’impegno sociale dei cristiani: educare con la parola e con l’esempio al senso del bene comune, alla responsabilità di tutti e di ciascuno verso ciò che è comune a tutti, dall’ambiente, alla ricchezza economica, alle regole della convivenza».

In questa prospettiva, «il primo grado di impegno sociale è la ricostituzione del senso civico, che è il senso dei doveri, e non solo dei diritti». Un richiamo che si collega a «un principio fondamentale della dottrina sociale della Chiesa, e cioè il principio di sussidiarietà, a sua volta inseparabile da quello di solidarietà». Perché «il vero impegno sociale è quello che scaturisce dal vero bene della persona».

 

tratto da L'Osservatore Romano 3-2-2011