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ORA DI DOTTRINA / 39 - LA TRASCRIZIONE

L'immagine di Dio - Il testo del video

Il divieto di riprodurre le immagini di Dio, secondo la Scrittura, è legato all'idolatria. Ma con il Cristianesimo il divieto viene superato perché Dio stesso assume un'immagine e dunque lo rende lecito. Inoltre non si venera l'immagine, ma Colui che vi è raffigurato.

Catechismo 02_10_2022

In questa seconda parte del Catechismo stiamo trattando a lungo del Primo Comandamento. Una parte importante del divieto che Dio dà nel primo comandamento riguarda la questione delle immagini:

"Non ti farai alcuna immagine"

Si tratta di un divieto importante, che va ben compreso. Da una parte abbiamo la crisi iconoclasta che ha interessato la storia della Chiesa per un secolo; dall'altra questo tipo di divieto è ancora oggi considerato in modo distorto in alcuni ambienti di origine protestante, che puntano il dito contro cattolici e ortodossi con l'accusa di violare questo comandamento riempiendo le chiese e le case di immagini sacre.

Vediamo il testo tratto da libro del Deuteronomio (4, 15-23), in particolare i versetti 15-16 (notare le parti in grassetto):

Poiché non vedeste alcuna figura, quando il Signore vi parlò sull'Oreb dal fuoco, non vi corrompete, dunque, e non fatevi l'immagine scolpita di qualche idolo, la figura di maschio o di femmina”

Prosegue il versetto 19:

“Quando alzi gli occhi al cielo e vedi il sole, la luna, le stelle e tutto l'esercito del cielo, tu non lasciarti indurre a prostrarti davanti a quelle cose e a servirle; cose che il Signore, tuo Dio, ha dato in sorte a tutti i popoli che sono sotto tutti i cieli”.

Infine, il versetto 23:

“Guardatevi dal dimenticare l'alleanza che il Signore, vostro Dio, ha stabilito con voi e dal farvi alcuna immagine scolpita di qualunque cosa, riguardo alla quale il Signore, tuo Dio, ti ha dato un comando, perché il Signore, tuo Dio, è fuoco divoratore, un Dio geloso”.

Il contesto è chiaro. Si tratta di un'ingiunzione, di un divieto che Dio dà per una ragione fondamentale: la proibizione dell'idolatria. Non ti farai un'immagine per non venerare questa immagine e non divenire idolatra.

La seconda ragione strettamente unita alla prima: non bisogna prendere un'iniziativa diversa da quella che ha preso Dio; Egli infatti sull'Oreb non si è manifestato visibilmente, non ha dato alcuna immagine di Sé. La teofania è avvenuta attraverso il fuoco, la nube, il tuono… quindi nessuna immagine di Dio; perciò anche l'uomo non se ne deve fare alcuna immagine.

Da qui si capisce subito un concetto fondamentale: non si tratta di una proibizione assoluta di fare delle immagini, ma di una proibizione relativa:

-  al fatto che Dio non ha mostrato la sua immagine (e perciò gli uomini non devono farsi la sua immagine)
- al fatto che non si deve scambiare una immagine per il Dio vero. La finalità fondamentale è la proibizione dell'idolatria.

Quale prova abbiamo del fatto che non sia una norma assoluta? Se prendiamo il libro dell'Esodo, al capitolo 25, Dio chiede a Mosè - quando gli dà tutte le indicazioni per costruire la tenda/tabernacolo - di rappresentare due cherubini sul kapporet, il “coperchio” dell’Arca dell’Alleanza. Quindi non vi è un divieto assoluto di fare alcuna raffigurazione.

La tradizione ebraica ha tradotto questo comandamento con il divieto di raffigurare Dio; anche l'islam conosce una proibizione delle immagini.

Il Cristianesimo invece, una volta terminato il periodo delle persecuzioni in cui non vi erano luoghi di culto pubblici e dove la fede viveva una situazione difficile, conosce una esplosione delle rappresentazioni sacre. A partire dal IV secolo, vi è uno sviluppo incredibile dell'iconografia cristiana sia in oriente sia in occidente, in particolare del Volto di Cristo e della Madre di Dio.

Ci si può domandare: perché il Cristianesimo dell'antichità interpreta questo comandamento in un modo che appare contraddittorio e molto libero?
Il dottore delle immagini Sacre è tradizionalmente riconosciuto in San Giovanni Damasceno (650 ca-749), che nel 1890 fu proclamato Dottore della Chiesa.

Sono molto interessanti i discorsi che lui scrisse proprio al principio della crisi iconoclasta; si tratta di discorsi contro coloro che si opponevano alle immagini sacre, e che costituiscono il punto di riferimento più lucido e approfondito sul tema, che la Chiesa stessa ha fatto propri.

Vediamo un passo tratto dal Primo discorso, n. 7.

"Tu vedi bene che la Scrittura proibisce la raffigurazione di immagini a causa dell'idolatria e perché è impossibile raffigurare Dio che è l'incommensurabile, il non circoscritto, l'invisibile".

Notiamo due aspetti:

- la proibizione è data in relazione all'idolatria

- la proibizione è data dal fatto che Dio non è visibile e circoscrivibile.

Attenzione ora al passaggio del paragrafo successivo; san Giovanni Damasceno fa notare che nella storia della Salvezza è intervenuto un fatto che è il cuore fondamentale della storia stessa della Salvezza:

"È chiaro che, quando tu abbia visto che colui che è incorporeo è diventato uomo a causa tua, allora farai l'immagine della sua forma umana; quando l'invisibile sia diventato visibile per la carne allora raffigurerai l'immagine di lui che è stato visto; quando colui che nella sovrabbondanza della sua natura è senza corpo e senza figura, incommensurabile e intemporale, quando colui che è immenso e sussistente nella forma di Dio si sia invece ristretto alla misura e alla grandezza, dopo aver preso la forma di schiavo, e si sia cinto nella figura del corpo, allora riproduci la sua forma su di un quadro ed esponi alla vista colui che ha accettato di essere visto".

La proibizione era motivata dall'idolatria, ma anche dal fatto che Dio sull'Oreb non ha manifestato una sua immagine. Il Damasceno però specifica che Dio nel Figlio ha preso carne e forma, è diventato visibile e circoscrivibile nell'umanità del Cristo: dunque ora è lecito farsi un'immagine di Dio, perché Dio stesso ha preso questa immagine. L'iniziativa è di Dio stesso.

Questa idea fondamentale viene ribadita nel paragrafo 16:

"Nei tempi antichi Dio, incorporeo e senza forma non poteva essere raffigurato sotto nessun aspetto; ma ora, poiché Dio è stato visto mediante la carne e è vissuto in comunanza di vita con gli uomini, io raffiguro ciò che di Dio è stato visto".

Dunque la prima ragione del divieto “decade” con l’Incarnazione. Vediamo ora la ragione dell’idolatria. Leggiamo il libro dell’Esodo 20, 4-5 (notare il grassetto):

"Non ti farai idolo né immagine alcuna di ciò che è lassù nel cielo né di ciò che è quaggiù sulla terra, né di ciò che è nelle acque sotto la terra. Non ti prostrerai davanti a loro e non li servirai. Perché io, il Signore, sono il tuo Dio, un Dio geloso”.

Il criterio per capire perché la venerazione delle immagini non comporti necessariamente l’idolatria, il Damasceno lo prende da un altro Padre della Chiesa, san Basilio Magno, che nella sua opera sullo Spirito Santo afferma:

"L'onore dell'immagine passa al prototipo"
Se prendiamo il testo del secondo concilio di Nicea del 787, c'è scritto:

"L'onore reso all'immagine, in realtà, appartiene a colui che vi è rappresentato e chi venera l'immagine venera la realtà di chi in essa è riprodotto" (Denz., 601).

La venerazione non va all'immagine dunque, ma a colui che viene rappresentato da questa immagine. Per usare la terminologia del Concilio: passa dall'immagine alla realtà. Oppure come dice san Basilio: dall'immagine al prototipo. In altre parole, la venerazione va dall'immagine a Gesù stesso, a Dio stesso.

Questa dinamica permette di chiarire perché non si tratta di idolatria, ma è anche alla base di un'altra considerazione. Si potrebbe infatti obiettare: Dio si è reso visibile in Gesù Cristo, ma allora che senso hanno le immagini della Madonna, dei Santi, degli Angeli?

L'idea che l'onore dato all'immagine sia trasferito al prototipo è anche ciò che legittima la venerazione delle immagini dei santi. Vediamo perché, ricorrendo ancora al discorso di san Giovanni Damasceno (par. 21):

“Se tu non veneri l'immagine allora non venerare neanche il figlio di Dio che è immagine del Dio invisibile, immagine vivente e impronta immutabile"

Se il Figlio è immagine del Padre – si dice – e non vuoi venerare le immagini, allora non venerare nemmeno il Figlio… Continua il Damasceno:

"Io venero l'immagine di Cristo in quanto Dio incarnato, l'immagine della Madre di Dio, Signora di tutti, quale madre del Figlio di Dio, e l'immagine dei santi in quanto amici di Dio, i quali fino al sangue hanno combattuto il peccato, hanno imitato Cristo […]. Queste cose io faccio attraverso il rispetto e la venerazione: “infatti l'onore dell'immagine passa al prototipo”, dice il divino Basilio".

Chi sono i Santi? Sono coloro che la Grazia ha conformato a Cristo e quindi coloro che hanno ritrovato quella somiglianza con Cristo originaria; l’uomo è stato creato ad immagine e somiglianza di Dio: l'immagine rimane, ma la somiglianza, perduta col peccato originale, va recuperata.

I Santi sono coloro nei quali la Grazia di Dio - tramite la loro disponibilità e collaborazione -  ha compiuto questa restaurazione dell'immagine e dunque sono coloro che diventano conformi al Figlio. Loro sono l'immagine del Figlio, il quale è immagine del Padre. Noi veneriamo l'immagine dei Santi, i quali sono essi stessi l'immagine del Figlio così come noi adoriamo Cristo che è immagine del Padre e veneriamo le icone del Cristo, in quanto immagine dell’immagine del Padre.

I santi sono dunque le icone viventi, immagini del Figlio, dei quali noi ci facciamo delle raffigurazioni. Non è un gioco di parole: nelle icone dei Santi noi veneriamo l'immagine (l'icona) dell'immagine (il santo) dell'immagine che è il Figlio, immagine del Padre.

Questa idea è fondamentale perché apre alla dimensione bellissima della nostra fede che è l'iconografia sacra. La materia, essendo stata assunta dal Verbo, diventa “capace” di trasmetterci l'immagine di Dio; così come la materia del corpo del Signore diventa di fatto la sede dell'immagine di Dio, cioè il Figlio, analogamente l'icona diventa capace di trasmetterci l'immagine dell'immagine di Dio. Chiaramente nel caso dell'icona non stiamo parlando di una presenza sostanziale, ma di un rimando. Questo spiega perché, soprattutto in Oriente, vi sia questa grande venerazione delle icone che non sono dei quadri, né delle fotografie, ma sono degli oggetti sacri che acquistano il loro senso solo nella preghiera e nella liturgia.

Nel riprodurre dunque le immagini sacre non vi è violazione del primo comandamento in quanto Dio stesso assume un'immagine e dunque lo rende lecito; inoltre non vi è idolatria perché non si venera l'immagine, ma Colui che è raffigurato nell'immagine. Lo stesso vale per i santi, dei quali non idolatriamo l'immagine, ma in essi veneriamo il Cristo che ha compiuto in loro la divinizzazione tramite la Grazia. È necessario perciò recuperare il senso della sacralità delle immagini.