Licenziato il mediatore Onu bravissimo negli affari (suoi)
Una figuraccia senza precedenti che travolge con un’ondata di guano non solo il suo protagonista, l’inviato speciale dell’Onu in Libia Bernardino Leon, ma anche l’intera Organizzazione delle Nazioni Unite. Sul caso Libia Leon ha lavorato sporco, schierato con una delle due parti in causa per denaro: 50mila euro al mese.
Una figuraccia senza precedenti che travolge con un’ondata di guano non solo il suo protagonista, l’inviato speciale dell’Onu in Libia Bernardino Leon, ma anche l’intera Organizzazione delle Nazioni Unite e l’Occidente tutto che dall’America all’Europa non ha mai fatto mancare il suo sostegno acritico a un negoziato confuso quanto inconcludente che al di là dei continui proclami dello stesso Leon circa l’imminente raggiungimento di un’intesa tra le diverse fazioni libiche non ha mai portato a nulla di concreto.
Uno degli aspetti più gravi della vicenda è che le reiterate lamentele del governo islamista di Tripoli, sostenuto da Turchia e Qatar e che accusava Leon di essere schierato al fianco dell’esecutivo di Tobruk, si sono rivelate più che giustificate. Ma la partigianeria di Leon non era certo dovuta a idealismo o alla valutazione che il governo laico di Tobruk è quello legittimo e riconosciuto dalla comunità internazionale. Nulla di tutto questo. Leon ha lavorato sporco da negoziatore schierato con una delle due parti in causa per denaro e neppure poi così tanto. Per la precisione 50 mila euro al mese che gli verranno versati dal governo degli Emirati arabi Uniti per dirigere l’Accademia Diplomatica di Abu Dhabi, una sorta di think-tank creato per promuovere la politica estera degli Emirati e addestrare i suoi diplomatici. Un istituto fondato l’anno scorso, “casualmente” quando Leon negoziò il suo futuro radioso negli Emirati Arabi Uniti, non solo i migliori alleati di Tobruk insieme all’Egitto, ma anche gli unici (sempre con Il Cairo) sospettati di aver inviato i propri cacciabombardieri a colpire le postazioni degli islamisti a Tripoli. Un'accusa che nei mesi scorsi venne formulata anche da Washington.
L’addio di Bernardino Leon dalla carica di inviato speciale dell'Onu in Libia è stato quindi caratterizzato dalle polemiche non solo per la faccia tosta del diplomatico spagnolo cresciuto nel Partito socialista iberico, che ha firmato il contratto per il nuovo lavoro prima di concludere il suo incarico all’Onu, ma soprattutto perché l’accordo tanto sbandierato da Leon per costituire un governo di unità nazionale non si è concretizzato e tutte le fazioni lo stanno criticando e ignorando. Un disastro per la diplomazia internazionale, per l’Occidente e soprattutto per l’Italia che contava su quell’accordo per fermare i traffici di immigrati clandestini dalla Libia.
«Ho seguito le procedure delle Nazioni Unite», si è difeso Leon dal Palazzo di Vetro e rispondendo alle critiche. «Oggi vediamo il risultato del mio sforzo in Libia», ha detto ai giornalisti, «e il mio incarico è stato portato avanti sempre in modo trasparente», anche se al termine di un fuoco incrociato di domande ha ammesso che «forse le apparenze non sono il massimo». Al suo posto il segretario generale dell'Onu, Ban Ki-moon, ha già nominato il tedesco Martin Kobler, già inviato speciale dell'Onu in Congo e prima ancora in Iraq. I due lavoreranno insieme nei prossimi giorni e il passaggio di consegne avverrà entro la fine del mese, ma si è già visto che in pochi vogliono farsi vedere accanto a Leon.
I vertici dell'Onu non hanno commentato la vicenda, mentre con sprezzo del ridicolo il portavoce di Ban Ki-moon ha ribadito il suo sostegno agli sforzi di Leon per arrivare ad un accordo su un governo di unità nazionale in Libia. Un sostegno che rende ancora più opaca la figura dell’attuale segretario generale dell’Onu. Infatti, alla presentazione dell'ultimo rapporto di Leon al Consiglio di Sicurezza non si sono presentati la gran parte dei rappresentanti permanenti dei Quindici membri, che al loro posto hanno mandato dei vice. A scoprire che Leon si era venduto agli Emirati è stata un’inchiesta del quotidiano britannico Guardian, che imputa allo spagnolo non solo di non aver avuto un ruolo imparziale fra il governo internazionalmente riconosciuto di Tobruk e quello islamico di Tripoli, ma addirittura di essersi messo da tempo al servizio degli Emirati Arabi Uniti. Il giornale ha pubblicato una serie di e-mail in cui Leon scrive ai suoi contatti negli Emirati di parteggiare esplicitamente per Tobruk.
In una mail al Guardian, Leon ha negato qualsiasi conflitto di interesse, ricordando che era sua intenzione lasciare l'incarico Onu entro il primo settembre. Ma altre mail viste dal quotidiano britannico dimostrano che a Leon l'incarico è stato offerto a giugno con un compenso più basso a cui il diplomatico ha risposto chiedendo più denaro per coprire le spese di alloggio. La corrispondenza più spinosa che “brucia” Leon e l’Onu risale però al dicembre 2014, appena 5 mesi dopo aver ottenuto l'incarico dal Palazzo di Vetro, in cui l’inviato speciale scriveva dal suo account personale al ministro degli Esteri emiratino, Abullah bin Zayed, spiegando che «non intendo lavorare a un piano politico che includa tutti» (come invece ha sempre sostenuto pubblicamente), aggiungendo di avere una strategia «per delegittimare completamente» il General National Congress, cioè il parlamento di Tripoli. Nella stessa mail, Leon ammette che «tutte le mie mosse e proposte sono state confrontate con e in molti casi messe a punte dal Parlamento di Torbuk e con l'ambasciatore libico negli Emirati, Aref Nayed e l'ex premier libico ora residente negli Emirati, Mahmud Jibril».
Leon ha sostenuto con il Guardian che questo testo non significa nulla e di averne scritti di simile alle altri parti perché «il mio obiettivo era conquistare la fiducia» di tutti gli attori in gioco, ma il giornale britannico ha però scritto di aver contattato Leon lunedì scorso e questi ha prima smentito di aver concluso l'intesa per il lavoro, ma poi ha inviato una mail sostenendo di «non aver firmato ancora il contratto», chiedendo al Guardian di non pubblicare l'articolo sulla trattativa con Abu Dhabi, offrendosi in cambio di dare un'intervista. Poco dopo, però, lo stesso Leon ha ufficializzato il suo nuovo incarico negli Emirati.
Un epilogo penoso sotto molti punti di vista. L’ennesimo europeo cristiano che vende se stesso e la sua (scarsa) dignità non dovrebbe fare più notizia, ma colpisce che ormai diplomatici e politici si svendano per cifre relativamente modeste. In fondo Leon ha affossato il negoziato in Libia buttando alle ortiche quel po’ di credibilità che l’Onu ancora conservava per “appena” 600 mila euro all’anno rafforzando così la convinzione degli “acquirenti” arabi che l’Europa cristiana si conquisti mandando ondate di immigrati islamici e comprando politici e diplomatici. Il deprimente caso Leon costituisce solo l’ennesima conferma di come l’Europa abbia ceduto alle monarchie sunnite del Golfo la leadership in Medio Oriente e Nord Africa. Indigna verificare che Leon non verrà mai chiamato a rispondere per quello che ha fatto, anzi, è così consapevole della sua immunità che ha firmato il contratto per il nuovo incarico senza neppure attendere che il suo nome venisse dimenticato, come sarebbe presto accaduto considerato l’inconsistenza del suo operato in Libia.
A questo proposito è impossibile non chiedersi se la leggerezza e la trasparenza con cui “piccoli” funzionari come Leon si vendono ai petrodollari non costituisca la conferma che lo stesso fanno personaggi ben più importanti e figure più decisive se non addirittura leader dell’Occidente. Un sistema di corruzione che spiegherebbe molte cose oggi inspiegabili agli occhi di molti cittadini europei: dalla stupida guerra di Libia del 2011 al sostegno di molti governi europei e della stessa Ue all’immigrazione illegale di massa, dalle facilitazioni concesse alla progressiva islamizzazione della nostra società alla tolleranza per gli abusi tipici del mondo islamico. Per ogni Leon che fa outing quanti ne restano nell’ombra?