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TREGUA FRAGILE

Libia, meglio non farsi illusioni sull'incontro Sarraj-Haftar

Meglio non farsi troppe illusioni sull’incontro tra il maresciallo Khalifa Haftar e il premier libico Fayez al-Sarraj. Sulla carta, Haftar ci guadagna quasi tutto, incluso un posto nel triumvirato che dovrà governare la Libia. In pratica, però, molte milizie potrebbero rimanere insoddisfatte. E l'Italia ha poco da festeggiare.

Esteri 06_05_2017
Serraj parla all'Onu

Meglio non farsi troppe illusioni circa gli sviluppi dell’incontro ad Abu Dhabi tra il maresciallo Khalifa Haftar e il “premier” libico riconosciuto dalla comunità internazionale Fayez al-Sarraj.

I due si sono finalmente parlati e pare abbiano trovato un’intesa su alcuni punti ma sembra evidente che tra i due leader al-Sarraj fosse di gran lunga il più debole. Isolato nella stessa Tripolitania dall’ostilità di molte milizie e dalla sfiducia nel suo inconcludente governo che ha indotto molte tribù a stringere alleanze proprio con Haftar, uomo che esprime certo maggiore solidità: ha un vero esercito, controlla la Cirenaica, parte del sud desertico e i terminal energetici della cosiddetta “Mezzaluna petrolifera”.

Il fatto stesso che il vertice si sia tenuto negli Emirati, alleati di Haftar insieme ad Egitto e Russia, la dice lunga sull’evoluzione dei rapporti di forza in Libia a poco più di un anno dall‘insediamento di al-Sarraj nella base navale di Abu Sittah, alle porte di Tripoli, l’unica area della Libia sotto il suo controllo.

L’accordo che secondo fonti diverse sarebbe stato raggiunto si può definire preliminare e includerebbe alcuni punti significativi: definizione delle milizie irregolari da smantellare, un nuovo Consiglio Presidenziale direttamente controllato da Tobruk poichè composto da soli tre membri (il Presidente al-Sarraj, il presidente del parlamento di Tobruk e il capo dell’esercito, cioè Haftar), l’organizzazione di elezioni da tenersi entro il marzo 2018 e, a quanto pare, la rinuncia ad applicare l’accordo sottoscritto a febbraio da al-Sarraj con l’Italia per bloccare o almeno rallentare i flussi di immigrati illegali.

Se il disamo delle milizie conviene soprattutto ad al-Sarraj, minacciato dalle diverse fazioni islamiste della Tripolitania, tutto l’accordo sembra costituire invece un indiscutibile successo per Haftar che tra l’altro ha buone possibilità di vincere le elezioni presidenziali del prossimo anno considerate le alleanze che ha intrecciato con tutte le principali tribù libiche ormai stanche dell’inconsistenza di al-Sarraj.

I tempi sono quindi maturi per il ritorno di un “uomo forte” in Libia”? Così sembrerebbe anche se i termini dell’intesa di Abui Dhabi sono ancora poco definiti e aleatori. Quali milizie dovranno disarmare e quali invece verranno inglobate nelle forze armate nazionali dove certo vi sarà l’Esercito Nazionale Libico di Haftar guidato anche da ufficiali legati alle forze del defunto raìs Muammar Gheddafi. L’intesa di Abu Dhabi lascerà molte forze tribali e militari insoddisfatte specie se verranno inglobate solo quelle vicine ad Haftar o quelle di Misurata, peraltro acerrime rivali del Maresciallo, indebolitesi nei sette mesi dell’assedio di Sirte contro lo Stato Islamico. Difficile inoltre immaginare che le milizie tribali e islamiste dell’area di Tripoli accettino di farsi disarmare senza combattere.

L’ottimismo per “una soluzione politica" espresso dal ministero degli Esteri degli Emirati Arabi Uniti, che chiedono la nomina di un nuovo inviato dell’Onu che sostituisca il tedesco Martin Kobler, potrebbe quindi risultare infondato, almeno a breve termine. A meno che Emirati e Qatar (i primi sponsor di Haftar, il secondo ha molta influenza su diverse forze della Tripolitania) non si siano già accordati sul futuro della Libia confermando come la stabilizzazione della nostra ex colonia Libia passerà dal Golfo Persico, non da Roma o dall’Europa. Se le voci trapelate ad Abu Dhabi trovassero conferma l’Italia avrebbe infatti poco da esultare anche sul fronte dell’immigrazione illegale, business che interessa la Tripolitania (le coste tra Misurata e il confine tunisino) di cui rappresenta almeno la metà del Prodotto interno lordo.

Già l’accordo firmato a febbraio da Marco Minniti e al-Sarraj appariva poco credibile ma ora è chiaro che la portata economica dei traffici di esseri umani e il coinvolgimento diretto della Guardia Costiera libica (che pure l’Italia addestra, finanzia ed equipaggia) rende ancor più improbabile il loro smantellamento senza il ricorso a respingimenti da parte delle flotte italiana ed europea. Forze militari che finora si sono limitate, come le navi delle Ong, a favorire il business dei trafficanti trasferendo direttamente in Italia gli immigrati illegali soccorsi in mare.